Nel dialogo tra un monaco e una psicanalista si snoda il percorso di uno scambio fecondo“Il monaco e la psicanalista. In dialogo per una autentica libertà interiore” di Marie Balmary (edizioni Paoline) è la storia di due compagni di università iscritti a medicina che si rincontrano dopo tanti anni. Simon è diventato monaco e Ruth ha intrapreso la professione di psicanalista. L’uno è cattolico, l’altra è ebrea ma agnostica. L’amicizia tra loro si rinnova attraverso un dialogo ricco e serrato, e uno scambio di lettere intenso e profondo.
Il libro trae ispirazione da un’esperienza autobiografica dell’autrice: due incontri importanti, uno con il famoso psicanalista Jacques Lacan e l’altro con il fratello minore di lui Marc-François, monaco benedettino. La conoscenza di quest’ultimo fu davvero fondamentale per la scrittrice, e ha rappresentato il principale motore del testo.
Marie Balmary era impegnata in una ricerca
“che, attraverso una rilettura della vita e dell’opera di Freud, risaliva a questioni fondamentali – gli oltraggi contro il soggetto, le leggi di relazione, la genesi della parola… – e mi conduceva verso le origini della nostra civiltà e in particolare verso la grande figura di Mosè, alla quale Freud si era tanto interessato”. Così la scrittrice avvertì il desiderio di conosce Marc Lacan per scoprire come egli riusciva a conciliare “la duplice lettura dei testi biblici, di cui era interprete autorevole, e dell’opera del fratello, che seguiva con interesse”.
L’incontro tra i due avviene la mattina del venerdì santo:
LEGGI ANCHE: Fabiola Gianotti «Io credo in Dio, scienza e fede sono compatibili»
«Arrivai all’ora concordata, dopo aver attraversato zone montuose nelle quali mi ero un po’ smarrita nella nebbia. (…) Quando mi vide così congelata, mi chiese subito (…): « Vuole un caffè? ». La proposta mi stupì, visto il giorno. Quindi l’ospitalità monastica prevaleva sulla regola del digiuno… Scomparve per un breve istante e ritornò con un vassoio, una caffettiera e due tazze: le riempì entrambe e me ne porse una. Mi stupì ulteriormente che un monaco non rinunciasse al caffè la mattina del venerdì santo. Cominciammo a parlare. Di tutto quello che capitava. E, me lo ricordo, fin dai primi minuti, delle rispettive interpretazioni dell’espressione «l’immagine di Dio». Su un punto ci trovammo d’accordo: l’immagine di Dio nella Genesi è la relazione tra l’uomo e la donna. (…) Durante la nostra vivace conversazione, non ci eravamo accorti che il tempo passava; quando la campana suonò per l’ufficio, ponendo fine al nostro incontro, rimanemmo entrambi stupiti. Riposi la mia tazza sul vassoio, e mi accorsi che la sua era ancora lì, piena, come se se ne fosse semplicemente dimenticato. Aveva dunque praticato il digiuno senza coinvolgermi; nessuna costrizione per me, neppure una lezione o un segno che avrei dovuto cogliere. Il digiuno riguardava lui, non me. (…) Questo gesto di estrema delicatezza corrispondeva a ciò che era accaduto conversando con lui. (…)Mi aveva aperto la porta come un viaggiatore che, fermatosi per un certo tempo, ne accoglie un altro, assicurandosi di farlo stare bene, senza imporgli la disciplina del proprio cammino e neppure le rivelazioni del proprio viaggio».
Come specifica nella prefazione, le pagine del racconto non corrispondono ai fatti e alle conversazioni reali intrattenute dall’autrice con Marc-François Lacan, “tuttavia, spero che il lettore vi trovi gli scambi, i contenuti e gli effetti di quegli incontri”.
Torniamo al libro. Simon e Ruth, gli amici ritrovati, si confrontano sulla tradizione ebraico-cristiana, affrontando nei loro discorsi – e spesso insieme – argomenti di filosofia, scienza, musica e psicoanalisi. Parlando si incontrano e fanno esperienza di Dio, di un Dio che libera e non opprime. Così la visione laica e psicanalitica di Ruth, in convalescenza a causa di una grave malattia e in un momento di crisi personale, si riapre al desiderio di una felicità piena, di un senso alto e altro.
«Per lei non era solamente l’inizio della primavera e della convalescenza. Era uno di quei momenti in cui, in una vita, la vita deve fermarsi o riprendere in modo diverso».
Nel dialogo appassionato con il religioso si apre la strada per una nuova esperienza della verità e della libertà, partendo dal valore spirituale da attribuire alla malattia.
“CERTI MALI VALGONO DI PIÙ DI CERTI BENI”
Simon riformulando una riflessione di Ruth:
“«(…)la depressione. (…)sarebbe una malattia dalla quale non si guarirebbe con una guarigione, ma con una salvezza; mentre una guarigione potrebbe farci smarrire, perché soffocherebbe la chiamata alla salvezza contenuta nella malattia. Ho capito bene quello che ha detto? Questo significherebbe, e credo sia giusto, che certi mali valgono di più di certi beni»”.
Ruth, stupita: “«Non è stata la medicina a insegnarle queste cose, vero Simon? È stata la sua formazione religiosa a introdurla in questo rovesciamento di felicità e infelicità?»”.
Simon: ”«Non so come funzioni nella pratica spirituale, ma in quella clinica capita molto spesso di trovare persone che scoprono che il peggio della loro vita – una grave malattia, un incidente, un lutto – le ha portate al meglio. Alcuni dicono di preferire l’uomo o la donna che sono oggi a quello, o quella, “di prima”, di prima della disgrazia»”.
Nel corso dei loro incontri Simon e Ruth affrontano la storia di Mosè, la vicenda del vitello d’oro, degli idoli e del Dio dell’Antico Testamento…
DIO E GLI IDOLI
«Un giorno », riprese Simon, «mi sono trovato dinanzi a una scelta riguardo a Dio, che corrisponde a due posizioni spirituali – forse lei direbbe anche psichiche –, due posizioni ben distinte: la scelta tra un dio che ci ha fatti e un dio che facciamo noi. E ho scelto il dio più vecchio, come dice lei, perché credo che niente e nessuno possa proteggerci dagli dei che facciamo noi quanto il dio che ci ha fatti».
L’ILLUSIONE DI ESSERE “FELICI COME DIO IN FRANCIA”
Dal dialogo fra Ruth e Dan, il marito della coppia che la ospita durante la convalescenza:
“«Noi viviamo nel Paese più visitato del mondo: “Felici come Dio in Francia”, dicono i nostri vicini. Ma allora com’è possibile che i francesi abbiano l’anima così malata da detenere il record degli psicofarmaci, da essere uno dei popoli con il più alto tasso di suicidi… » « … e il più psicanalizzato della terra? », concluse Ruth. « Già, per giunta. Forse semplifico troppo le cose, come accade spesso nel mio lavoro, ma quello che mi dico è questo: eppure in questo Paese stupendo, in questo Stato tra i più laici del mondo, noi siamo liberi: non ci sono più dei, né re, né maestri imposti. Allora, dov’è l’errore? Servono dunque dei miti, l’invisibile, il meraviglioso, per sopportare la vita su questo pianeta? Con i nostri Lumi siamo totalmente privi di consolazione; come se – da quando? dalla Rivoluzione? – si fosse formato un buco nello strato simbolico di ozono che filtrava i raggi. Ci troviamo davanti ai misteri della vita senza interpretazioni, davanti alla morte senza liturgie tranquillizzanti. E quando vedo dei giovani che cercano a chi votarsi e non trovano più niente se non il diavolo, mi preoccupo molto»”.
Ruth e Simon nei loro incontri parlano di tutto: delle loro esperienze di vita, dei dolori che hanno vissuto, della malattia, della morte, della libertà, di Dio. Durante le loro conversazioni Ruth – che inizialmente si sentiva completamente distante dal suo ex compagno di università fattosi monaco – sente di trovarsi con lui su un terreno comune e fecondo, dove la “parola” – tra due interlocutori che si rispettano profondamente – può non solo arricchire entrambi, ma permettere di scoprire i fondamenti comuni a ciascuna delle prospettive di partenza di ognuno.
«Ho imparato, tanto dalla psicanalisi quanto dalla lettura biblica, che una simile parola può giungere, anche solo interiormente, dove una riflessione solitaria non saprebbe arrivare. La porta che ciascuno apre così di frequente senza vederla può essere attraversata solo con l’altro. Porta troppo stretta per uno solo, ma in cui due passano agevolmente. Questa « parola tra » non crea solamente nuovi pensieri, ma inventa anche luoghi di incontro. « Appuntamenti »: termine che utilizzavano i marinai per indicare il porto in cui, qualora la squadra si fosse dispersa, si sarebbero ritrovati».