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Pizzaballa: “La pace di Gerusalemme sia per tutti”

Vatican Insider - pubblicato il 10/09/16

“Voglio essere vescovo per tutti. Per quanti mi sono affidati, innanzi tutto. Ma anche per quanti condividono l’amore e la sollecitudine per il Medio Oriente, per ebrei e musulmani, per i più poveri, per la Chiesa intera”. Dal duomo di Bergamo dove questo pomeriggio è stato consacrato arcivescovo con il compito di amministratore apostolico del patriarcato latino, assegnatogli da papa Francesco, torna a Gerusalemme con questo messaggio padre Pierbattista Pizzaballa. Non un programma, ma poche parole tanto semplici quanto chiare, pronunciate al termine del lungo rito celebrato nella sua terra natale.

E’ presente numerosa la Terra Santa nel duomo di Bergamo per questo rito. C’è il patriarca emerito Fouad Twal che insieme al vescovo di Bergamo Francesco Beschi affiancano il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali che presiede il rito dell’ordinazione. C’è il nuovo Custode di Terra Santa fra Francesco Patton, che accompagna padre Pierbattista all’altare. C’è il rappresentante del patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme Nektarios, a testimoniare un’amicizia che si traduce anche nel dono di una croce pettorale. C’è persino la lingua araba nella quale – a Bergamo – viene proclamato il Vangelo; e alla fine del rito il neo-vescovo racconterà che in qualche modo in questo duomo c’è anche la preghiera di tanti ebrei e musulmani che in questi giorni gli hanno espresso la propria vicinanza.   

Ti basta la mia grazia”, dice il motto che padre Pizzaballa ha scelto per il suo episcopato. E nel  suo discorso ripercorre alcuni segni di questa grazia nella sua vita. Fin dai primissimi ricordi di bambino, nelle zone rurali della bergamasca, e poi l’ingresso nel seminario minore, i primi incontri con i missionari… “Anch’io volevo andare missionario. In Cina. Stranamente la sala della Terra Santa nel museo del seminario era quella che mi interessava meno… – sorride -. E anche dopo, io non volevo proprio andarci: ma il provinciale era ancora vecchio stampo e mi disse: prendi e vai. E lì ho capito che il sì al Signore passa attraverso sì molto concreti e umani, non è un sentimento astratto e vago”. 

Questo sì passa oggi per il nuovo servizio che gli è chiesto in quella stessa realtà che per dodici anni ha servito come Custode francescano di Terra Santa. “Nello stemma ho voluto mettere solo due cose: Gerusalemme e la Parola – spiega -. Dalla Parola, e non dai problemi e dalle paure, desidero iniziare e fondare il ministero che mi è stato assegnato perché poco alla volta ci plasmi, come ha fatto dall’inizio per generazioni di credenti, e illumini le nostre scelte, le nostre relazioni e le nostre città dove è calata la vita di noi tutti”.

Ma la Parola è anche la chiave per guardare all’oggi della Città Santa: “Chiedo pace per Gerusalemme – continua l’ormai arcivescovo Pizzaballa – ma soprattutto chiedo la pace di Gerusalemme, che è la pace offerta nel cenacolo della Cena e di Pentecoste. E’ una pace che si può avere anche subito. E’ la pace che non è soppressione delle differenze, annullamento delle distanze, ma nemmeno tregua o patto di non belligeranza, garantito da accordi o separazioni. Chiedo una pace che sia accoglienza cordiale e sincera dell’altro, volontà tenace di ascolto e di dialogo, strade aperte su cui la paura e il sospetto cedano il passo alla conoscenza, all’incontro e alla fiducia, dove le differenze siano opportunità di compagnia e non pretesto per il rifiuto reciproco”.

“Mi impegnerò – conclude Pizzaballa – perché, anche grazie al mio servizio in quella terra, sorga per tutta la Chiesa e sugli uomini di quella terra, la pace di Gerusalemme”.

Su quella stessa pace anche il cardinale Sandri aveva insistito in precedenza nell’omelia: “Tanti cuori in Terra Santa e particolarmente nei territori del patriarcato latino – aveva ricordato – hanno sete di giustizia e di pace: dimensioni fondamentali del vivere umano, che prima ancora che rivendicare come diritto dagli altri devono essere desiderate e operate nei rapporti dentro la Chiesa e tra le Chiese, oltre che con i credenti ebrei e musulmani. L’unico strumento nelle nostre mani per evitare che i cristiani emigrino dal Medio Oriente, o vengano fatti uscire da progetti non chiari, è trovare sempre forme antiche e nuove per essere Chiesa in uscita, che ha a cuore la promozione di spazi di incontro e di riconciliazione”. 

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