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La lotta di una madre per riuscire a far parlare il figlio disabile

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Diane Vose DV4099/15

Jemima, Susannah, Jonathan and Mum Chantal Bryan from Stanton St Quintin. Jonathan has Celebral Palsy and uses a Spelling board to communicate. Pictures by Diane Vose DV4099/15

Cerith Gardiner - For Her - pubblicato il 05/09/16

Dopo nove anni, Jonathan Bryan può adesso comunicare con il mondo, grazie a una madre determinata, una famiglia che crede in lui e una fede stabile e profonda

Immagina di vivere in un mondo in cui non hai la voce. Ti siedi, guardi ciò che ti circonda ma non hai alcun modo di comunicare un pensiero, un’idea, un’opinione o una semplice battuta. E, peggio ancora, la maggior parte delle persone pensa che tu non sia neanche in grado di sperimentare tutte queste cose.

Questa era la vita di Jonathan Bryan (10), fino a due anni fa, quando sua madre Chantal scoprì un modo per comunicare con lui. La storia di Jonathan non è soltanto importante e commovente, ma lascia trasparire la forza interiore di un ragazzo amorevole e intelligente, la determinazione della sua famiglia di dargli la sua “voce”. E che voce!

Jonathan nacque prematuro a 36 settimane, con un cesareo d’emergenza, dopo che la Chantal fu coinvolta in un incidente. La sua placenta si era staccata dall’utero, lasciando Jonathan senza ossigeno. La prospettiva non era delle più rosee: Jonathan era nato con un’insufficienza renale, e un esame cerebrale mostrò che avrebbe avuto una disabilità grave. Incapace di camminare, di parlare, di mangiare autonomamente e di compiere molte altre attività che molti di noi danno per scontate. Chantal, in un articolo sulla storia di Jonathan, ricorda le parole di uno dei dottori dell’ospedale: “Si tratta di uno dei peggiori esami cerebrali mai visionati dall’esperto”. Chantal e suo marito Christopher – un vicario anglicano – consultarono numerosi esperti per considerare l’eventuale necessità di interrompere i trattamenti di Jonathan; ma Chantal ricorda:  “C’era qualcosa in lui. Uno sguardo d’intesa. Lo sguardo di qualcuno che era proprio ‘dentro di lui’ ”.

Poi Jonathan arrivò a casa, ma usciva ed entrava regolarmente dall’ospedale a causa della sua insufficienza renale. Poco prima del suo quarto compleanno ricevette un trapianto di reni, ma questo portò purtroppo ad una grave infezione. Come conseguenza Jonathan iniziò ad avere bisogno, 24 ore al giorno e 7 giorni alla settimana, di un respiratore.

Ma continuò a lottare.

Apparentemente affetto dalla “sindrome locked-in”, con una paralisi cerebrale e con dei polmoni molto deboli, Jonathan fu iscritto in una scuola speciale, che lo definì “con profonde e multiple difficoltà di apprendimento”. Chantal crede che questo sia il cuore del problema, perlomeno nella sua nativa Inghilterra: i bambini che non parlano e che mostrano degli handicap fisici vengono stigmatizzati e iscritti in scuole che, in fin dei conti, si limitano a fungere da “baby sitter”. Ed è qui che inizia davvero l’incredibile storia di Jonathan e di Chantal.


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Il giorno in cui dopo il ritorno della famiglia (Chantal, Christopher, Jonathan e le sorelle Susannah e Jemima, rispettivamente 7 e 4 anni) dalle vacanze estive, i fratelli stavano giocando in una tenda nel giardino sul retro, e io riuscì a trattenermi in una lunga conversazione con Chantal. Le chiesi come poterono andare in vacanza nonostante le tante esigenze di Jonathan (aveva bisogno di una costante assistenza, giorno e notte). Mi spiegò che, per sicurezza, andarono poco lontano da casa. E che Jonathan poté partecipare alle escursioni con la loro ‘tre ruote’. Immediatamente tutto divenne chiaro: nonostante la grave disabilità di Jonathan, lui è parte integrante della vita di famiglia. Non solo per l’assistenza di cui ha bisogno, ma per la sua “grande personalità”, come la definisce Chantal.

Mentre Jonathan giocava con le sorelle, Chantal mi raccontò del cammino che la sua famiglia ha intrapreso, di come Jonathan si sia rivelato essere un ragazzino con grandi idee sull’aiutare gli altri, e come una visita al “Giardino di Gesù” abbia portato speranza ed entusiasmo per il futuro.

La svolta

Nonostante le sue disabilità, Jonathan era comunque “in contatto col mondo e propenso ad imparare”, sin da una tenere età. Poteva comunicare con quella che sua madre chiama una “faccia da sì” o “faccia da no”. E questa capacità decisionale ha permesso a Jonathan di emergere dal suo silenzio.

Sin da piccolino, Jonathan ebbe un assaggio dell’istruzione mainstream, spendendo però comunque del tempo nella scuola locale per bambini con bisogni speciali. Ovviamente grata dell’assistenza fisica rivolta al suo bambino, Chantal credette però che questo stesse come limitando il suo sviluppo mentale. A sette anni e mezzo, dunque, Chantal prese una decisione che avrebbe stravolto la vita di Jonathan e di tutta la famiglia: decise di intraprendere un percorso di istruzione parentale ogni giorno, per un ora, prima di mandarlo alla scuola per bambini con bisogni speciali.

La madre iniziò a lavorare regolarmente con Jonathan per valutare se fosse in grado di riconoscere le lettere ed iniziare a leggere e scrivere. Jonathan era in grado di guardare delle parole e frasi, attentamente selezionate e posizionate su una tavola in plastica per aiutarlo a creare delle frasi, e Chantal poté notare che suo figlio aveva tanto desiderio di imparare. In passato aveva provare a usare un computer “Eye Gaze” che registra i movimenti dell’occhio e li traduce in messaggi; sebbene per la macchina fu molto difficile rilevare i movimenti oculari di Jonathan – a causa di uno strabismo divergente – riuscì a mostrare che Jonathan era in grado di fare delle scelte e di comporre le lettere in modo da formare delle parole. Chantal creò dunque faticosamente un sistema – fatto di fonemi, parole e lettere – in cui Jonathan selezionava con gli occhi una lettera o una parola (questa è una spiegazione estremamente semplificata del sistema che Chantal ha sviluppato grazie ad alcuni consigli di Marion Stanton, un’insegnante specializzata in bambini con difficoltà comunicative – potete leggere ulteriori dettagli sul blog di Jonathan).

Quando dissi a Chantal che aveva la pazienza di una santa, mi disse che non era “paziente, ma determinata. Non sono una madre santa!” Ma la sua determinazione iniziò a ripagare, e la famiglia decise che Jonathan avrebbe dovuto procedere con l’istruzione parentale cinque mattine piene a settimana (e quattro pomeriggi di scuola tradizionale), lasciandogli soltanto un pomeriggio per la scuola speciale in modo da poter vedere il suo migliore amico (che Jonathan pensa possa seguire anch’egli il suo metodo di apprendimento). Da quel momento Jonathan esplose.

Una voce potente ed espressiva

Chantal si rese conto che il vocabolario di suo figlio era abbastanza ampio, anche grazie ai tanti libri che la famiglia gli lesse durante la sua lunga malattia. E la tavola con le parole iniziò a non essere più in grado di far esprimere Jonathan al meglio. Non molto tempo dopo, il bambino era in grado di costruire frasi che avrebbero sorpreso qualsiasi maestra della 4 elementare. È come se l’intero mondo di Jonathan fosse stato sbloccato, e lui fu finalmente in grado di esprimere i pensieri che aveva intrappolato dentro di sé per nove anni. E ha mostrato di essere tanto profondo e sensibile quanto attento a percepire il mondo attorno a lui. Jonathan spiegò alla madre: “Guardo le persone e prego; guardo e osservo molto”. Questo processo ha permesso a Jonathan di sviluppare una personalità molto più forte di tanti altri ragazzi della sua età.

Jonathan iniziò ad essere persino in grado di dire ciò che lo rendeva triste. È riuscito anche a dire che “la cosa più frustrante era farsi lavare la faccia”, non proprio ciò che ci si aspetterebbe da un bambino costretto su una sedia a rotelle e attaccato costantemente ad una bombola d’ossigeno. E ha iniziato a fare anche delle richieste. Chantal ricorda con affetto Jonathan fare lo spelling della seguente frase: “Ho bisogno di un fratello!”

Jonathan ha anche espresso il desiderio di “cuocere qualcosa in forno ogni giorno, per sempre”. Ha detto, indicando lettera dopo lettera: “Adoro cucinare per le altre persone, rendere gli altri felici”. La sua passione per la cucina, con l’aiuto della famiglia, è indicativa della sua bella personalità, fatta di amore, di capacità di donare, soprattutto se consideriamo che Jonathan non è in grado di mangiare in autonomia del cibo solido e ha bisogno di essere nutrito tramite un tubicino nello stomaco. È un ragazzo dal cuore incredibile e un approccio meraviglioso alla vita, utilizzando al meglio ciò che la vita stessa gli offre. Come dice Chantal, Jonathan segue addirittura delle lezioni di ballo, a scuola, con la sua sedia a rotelle; i suoi amici lo aiutano a muovere le braccia, e lui si sente come se stesse danzando.


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Il Giardino di Gesù

Una delle cose più belle che Jonathan è riuscito a fare è stato raccontare ai genitori della sua visita al “Giardino di Gesù”. Essendo cresciuto in una famiglia religiosa, Jonathan è stato portato a “conoscere Gesù”. Ma essere in grado di comunicare ha permesso a Chantal di chiedergli delle domande importanti. “Cosa dici a tuo figlio dopo nove anni”, mi ha chiesto, ridendo. Una delle prime cose che Chantal ha chiesto al figlio è stata: “Chi è importante nella tua vita?” E Jonathan ha risposto in modo del tutto spontaneo: “Mamma, papà, Gesù, le sorelle…” Poi Chantal gli ha chiesto: “Quand’è che hai sentito parlare di Gesù per la prima volta?” E la risposta di Jonathan è stata una delle cose più incredibili che abbia mai detto alla famiglia: “Quando stavo male ho visto casa sua. Mi arrampicavo sugli alberi, ogni parte del mio corpo funzionava alla perfezione”.

Chantal e il marito pensano si riferisca ad un’esperienza di pre-morte vissuta da Jonathan qualche anno prima, ma non sanno esattamente quando. Jonathan racconta di essere “andato nel ‘Giardino di Gesù’, dicendo che Lui è sempre felice, e ha descritto in modo dettagliato un bambino che si trovava lì”, ha spiegato Chantal. Jonathan dice che il nome del bambino fosse Noah, un ragazzino della sua parrocchia precedente ucciso da un inaspettato tumore al cervello. Sebbene la famiglia abbia parlato abbastanza del cielo a Jonathan — avendolo considerato più volte vicino alla morte — Chantal dice che la sua descrizione e “fresca”, nulla a che vedere con gli stereotipi con cui noi lo descriviamo. Quando Chantal ha chiesto a Jonathan “Com facevi a sapere che fosse il Giardino di Gesù?”, Jonathan rispose in modo consapevole: “Perché il mio corpo funzionava, e ho potuto chiederlo alle persone”.

La gioia che Jonathan ha sentito nel Giardino di Gesù ha avuto un impatto forte sul suo approccio alla vita. Durante una recente malattia, ha detto: “Tornerò presto, è entusiasmante!” Si può soltanto immaginare quanto sia stato difficile per la famiglia portare Jonathan a comunicare in questo modo. Jonathan ha assaggiato la gioia dell’esperienza della libertà, e Chantal comprende il suo entusiasmo. Desidera il meglio per suo figlio. Ma lei e suo marito non sono così felici che Jonathan debba “tornare in giardino”. Eppure, “ha imparato ad essere soddisfatto… ed molti di noi non riescono ad esserlo.  Parliamo con lui della sua fede, prega molto”.

Jonathan ama pregare usando la sua tavola con le lettere. Ma ciò che stupisce è il suo metodo: “Non pensa usando le parole, pensa usando le emozioni, i colori, i suoni. La preghiera è intenzionale, ma invita Gesù ad inserirsi nel ritmo della sua vita, e porta al cospetto di Dio le immagini delle persone, quando prega per loro”. A novembre Jonathan riceverà la Cresima, perché Chantal non sa quanto tempo potranno stare ancora insieme.

Con un figlio così attento alla sua fede, ho chiesto a Chantal della sua attuale relazione con Dio. “È più profonda, penso. Con Jonathan non potrebbe essere altrimenti! Poco dopo la nascita stava molto male. E ho chiesto a Dio ‘Perché?’ Ma non ‘perché io?’, ma ‘perché questo bambino deve soffrire così tanto?’ E Dio mi ha mostrato un’immagine che non dimenticherò mai: Dio Padre che guarda il Figlio sulla croce e, con le lacrime sul volto, dice ‘lo so’. E io seguo un Dio che sa. Sa cosa vuol dire avere un figlio che soffre e Lui sa cosa vuol dire soffrire. La mia fede mi aiuta a superare questi momenti”. Chantal ha parlato anche della speranza che tutti noi abbiamo per i nostri bambini, e come la storia di Jonathan abbia dato una vera e propria lezione di vita: “Essere umani si può ridurre a questo: essere amati e donare amore”.

Un ragazzo con uno scopo

Jonathan è un ragazzo con una missione. Ha lanciato una petizione su change.org in modo che i bambini nella stessa condizione possano essere alfabetizzati ed eliminare la percezione che l’etichetta di “disabile” lasci intendere che il bambino non possa imparare. Ha scritto al Ministro dell’Istruzione, e spera di incontrare il Ministro della Famiglia, che decide le politiche del Regno Unito per bambini con bisogni particolari. Jonathan crede che sia questo il suo scopo, ciò che vuole realizzare prima di morire. È stato intervistato ed ha addirittura scritto da solo un comunicato stampa. Vuole cambiare l’atteggiamento delle persone, aiutare gli altri a vedere ciò che i bambini come lui – apparentemente incapaci di comunicare – sono in grado di realizzare.

Alle sorelle Jonathan parla della fede, e sta scrivendo dei pensieri per quando lui non sarà più su questa terra: d’altronde è il fratello maggiore, sempre protettivo.

Ho chiesto a Chantal se Jonathan potesse scrivere una preghiera da condividere con i nostri lettori. Lui era entusiasta di farlo:

‘Padre Celeste,
Ti ringrazio, perché ami i bambini come me, doni forza, coraggio e pace alle nostre vite. E sapere che Tu ci accoglierai in Cielo dà molta gioia.

Per favore, aiutami a dare voce a tutti i bambini come me, in modo che possano dire ciò che vogliono.
Nel meraviglioso e glorioso nome di Nostro Signore Gesù,
Amen’ – Jonathan Bryan, 10 anni

Per sapere di più sulla potente testimonianza di Jonathan, leggi l’autobiografia Life Adventures of awesome Jonathan, che si trova sul suo blog. Puoi anche scrivervi un commento, Jonathan sarà felicissimo di leggerli.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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