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Fertility Day: cosa è andato storto?

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 01/09/16
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Buona l’idea, scarso lo svolgimento di una iniziativa per contrastare il calo demografico in ItaliaIeri il Ministero della Salute, guidato da Beatrice Lorenzin, ha lanciato la comunicazione relativa ad una campagna nota ormai a tutti come “Fertility Day”, giorno della fertilità, da celebrarsi il prossimo 22 settembre con convegni e spot. Internet – come un sol uomo – si è rivoltato contro la campagna giudicata da alcuni addirittura di sapore reazionario (il Fascismo fu famoso per le politiche di natalità) e dalla maggioranza come una pressione indebita sulle donne che già oggi in Italia faticano non poco a conciliare lavoro e maternità. Trasformarla in dovere è sembrato troppo.

La maternità al centro

Il primo obiettivo del piano è «informare i cittadini sul ruolo della Fertilità nella loro vita, sulla sua durata e su come proteggerla evitando comportamenti che possono metterla a rischio». In relazione al “Fertility Day”, lo scopo è «celebrare questa rivoluzione culturale istituendo il “Fertility Day”, Giornata Nazionale di informazione e formazione sulla Fertilità, dove la parola d’ordine sarà scoprire il “Prestigio della Maternità”». Che è già una cosa positiva, da tempo la maternità è qualcosa di messo in sordina, il fare figli, avere una famiglia numerosa è visto con misto di pena, fastidio e ilarità dal pensiero mainstream, parlare del problema della fertilità è un bene, ricordare alle donne che esiste un finestra temporale entro cui è più facile avere figli è quasi banale, ma certo non fa male.

L’Inverno (demografico) sta arrivando
La questione è grave: come paese stiamo “sparendo”, abbiamo cioè un saldo tra morti e nuovi nati negativo, a certificarlo è l’Istat: «Nel corso del 2015 il numero dei residenti ha registrato una diminuzione consistente per la prima volta negli ultimi novanta anni: il saldo complessivo è negativo per 130.061 unità. Il calo – veniva poi precisato – riguarda esclusivamente la popolazione di cittadinanza italiana – 141.777 residenti in meno – mentre la popolazione straniera aumenta di 11.716 unità».

2015: Al 1° gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti (-139 mila unità).

2014: Sono 502.596 i nati nel 2014 (-12mila sul 2013); 1,37 in media i figli per donna; 31,5 anni l’età al parto.

E’ bene dunque correre ai ripari ben sapendo che è una questione complessa e che ha radici lontane, come ricorda Giuliano Guzzo sul suo blog: “la tendenza del figlio unico, in Italia, ha conosciuto un boom negli anni ’80, stagione economicamente parlando d’oro rispetto all’odierna”.

 

Ma il Governo può farci la morale?

Per intenderci: il ministero della salute può ricordarci che il periodo di fertilità rispetto alla lunghezza della vita è relativamente breve, ma ha il diritto di farci sentire in colpa se non facciamo figli? E’ davvero questo il compito del governo di un paese? Non sarebbe compito dello Stato intervenire su tutte le cause che impediscono alle famiglie di formarsi? Perché se è vero quello che dice Guzzo, cioè che il problema è culturale e non solo economico (altrimenti negli anni ’80 avremmo avuto un baby boom) è anche vero che è passata una generazione e che – forse – quei figli unici ora percepiscono la mancanza di fratelli e sorelle e ambiscono a metter su famiglia e ad avere magari due o tre figli. Lo rivela uno studio dell’Istituto Toniolo: il 60% dei giovani intervistati vuole avere almeno 2 figli. Come è possibile vedere dal grafico elaborato da Documentazione.info meno del 10% non vuole avere figli.

Facciamo nostra una riflessione di Gianluigi De Palo, presidente del Forum delle Famiglie che su Facebook commenta così l’iniziativa:

 

I problemi di comunicazione non sono mai solo problemi di comunicazione

Le polemiche suscitate dal lancio della campagna fanno pensare che il tono sia stato sbagliato, non a caso il sito del progetto è stato messo offline dopo poche ore. Il tono un po’ paternalistico non ha giovato

Il premier Matteo Renzi ha messo subito una distanza tra lui e la ministra Lorenzin e a Rtl stamane ha dichiarato:

“Se vuoi creare una società che scommette sul futuro e fa figli devi creare le condizioni strutturali: gli asili nido, la conciliazione col lavoro. Le persone fanno figli se possono finalmente avere un lavoro a tempo indeterminato, investire su un mutuo, avere l’asilo nido sotto casa. Questa è la vera campagna. Non conosco nessuno dei miei amici che fa un figlio perchè vede un cartellone pubblicitario. Conosco quelli che mi dicono ‘Come faccio se non ho i nonni, se sono precario…”. Così il premier Matteo Renzi, a proposito dell’iniziativa del Fertility Day: “Non sapevo niente di questa campagna, non l’ho neanche vista. Avevamo problemi più importanti da seguire”, taglia corto Renzi, ospite di Rtl 102.5.
La questione demografica “esiste ma vanno create le condizioni perchè ciascuno possa scegliere come e quando fare figli. Abbiamo fatto anche interventi fiscali, ma servono le condizioni strutturali. Litigare su una campagna di comunicazione, non credo sia un tema”, ha concluso sul punto Renzi (Askanews, 1 settembre)

E torniamo al punto precedente: se lo Stato chiede, lo Stato deve fare come fa – ad esempio – la Francia che, come ricordava più di un anno fa Monica Ricci Sargentini sul Corriere della Sera, destina non poche risorse all’argomento:

Il 25 gennaio in un articolo dal titolo “La Fecondità made in Francia”Le Monde sottolineava come le donne facciano più figli se lavorano. Nel 2010 in Francia l’83,8% delle donne tra i 24 e i 54 anni era occupata, una cifra quasi pari a quella degli uomini, e il tasso di natalità superava il 2%. Un dato che noi ce lo sogniamo. “I paesi mediterranei – scrive Le Monde – smentiscono ogni giorno il mito della generosa fecondità delle culture cattoliche: la Spagna, il Portogallo e l’Italia hanno registrato, negli ultimi anni, una caduta drammatica della natalità (1,3 figli per donna). E sono proprio questi Paesi, in piena depressione demografica, ad avere i più bassi tassi d’occupazione femminile. Non soltanto il lavoro non è più un freno alla natalità ma è diventato una delle condizioni per avere un bambino”.

Il quotidiano fa notare come in Francia ci siano delle politiche familiari molto generose che rappresentano il 3,5% del prodotto interno lordo mentre in Italia siamo sotto al 2%.Ma da dove viene questa resistenza a varare una vera politica per la famiglia in Italia?

 

Non ci sono soldi per una campagna? Almeno si usi la fantasia

Sinceramente è questa una delle cose che mettono più tristezza. Se non ci sono risorse aggiuntive da mettere nelle politiche familiari almeno si dia un messaggio positivo, di speranza, di gioia. Non si poteva fare come in Danimarca? Nel 2014 il governo danese fece fare questo spot che al di là dei premi messi a disposizione, ha cercato di giocare sull’umorismo e dunque sulla gioia di vivere:

Un anno dopo il tasso di natalità è cresciuto e il Governo ha fatto un secondo spot:

La Stampa spiega che:

Il tasso di natalità della Danimarca è destinato ad aumentare dopo una serie di campagne mirate al fare più sesso e incoraggiare le persone a procreare visto il basso tasso di natalità del paese.
L’anno scorso una serie di campagne sono state mandate in onda dalla televisione nazionale danese tra cui “Fallo per mamma” creata da un’azienda di viaggi, la Spies, invitando la gente ad avere figli per compiacere i loro genitori e contribuire a invertire l’invecchiamento della popolazione.
“Il sistema di welfare danese è sotto pressione. Non ci sono ancora abbastanza bambini, nonostante un piccolo progresso. E questo riguarda tutti noi. Ma coloro che soffrono di più sono forse le madri che non potranno mai sperimentare di avere un nipote,” recitava lo spot mostrando una anziana donna danese mentre immagina un suo futuro nipote.
Poco dopo, la città di Copenaghen produsse una propria campagna sempre puntando sulla fertilità.
Nove mesi dopo i rapporti suggeriscono che la Danimarca è in una fase di baby boom con più di 1200 bambini che nasceranno questa estate rispetto allo scorso anno, secondo quanto riporta il sito The Local citando un rapporto del giornale danese Politiken.

Niente male no?