Uno studio sui giovani che abbandonano la Chiesa mostra che le loro motivazioni sono poco convincenti e si possono confutare facilmente
di Monsignor Robert Barron
Dopo aver letto l’ultimo studio Pew sul perché i giovani abbandonano la pratica attiva del cristianesimo confesso di essere rimasto esasperato. Non dubito affatto della sincerità di chi ha risposto al sondaggio, ma le ragioni che offre per l’abbandono del cristianesimo non sono molto convincenti. Qualsiasi teologo, apologeta o evangelista che meriti questo titolo vi potrebbe rispondere con grande facilità.
E questo mi ha portato alla conclusione che “abbiamo trovato il nemico, e siamo noi”. Negli ultimi 50 anni o giù di lì, i pensatori cattolici hanno ampiamente abbandonato l’arte dell’apologetica, e hanno fallito (e qui offro un j’accuse a molti nelle università cattoliche) nel ricorrere alle ricchezze della tradizione intellettuale cattolica per fermare i critici della fede. Non biasimo gli avatar del secolarismo per aver cercato attivamente di sminuire il cristianesimo; dopo tutto, è il loro lavoro. Biasimo invece gli insegnanti, i catechisti, gli evangelisti e gli accademici all’interno delle Chiese cristiane per non aver fatto abbastanza per tenere impegnati i nostri giovani. Studi come questo dimostrano che a meno che noi credenti non ci gettiamo seriamente nel gioco a livello intellettuale perderemo i nostri ragazzi.
Permettetemi di analizzare brevemente alcune delle ragioni principali addotte come motivazioni per l’abbandono del cristianesimo. Molti, evidentemente, hanno sentito che la scienza moderna in qualche modo mina le affermazioni della fede. Una persona che ha risposto ha detto: “Il pensiero razionale fa uscire la religione dalla finestra”, mentre un altro ha lamentato la “mancanza di qualsiasi sorta di prova scientifica dell’esistenza di un creatore”. Beh, sarebbe una sorpresa enorme per San Paolo, Sant’Agostino, San Giovanni Crisostomo, San Girolamo, San Tommaso d’Aquino, San Roberto Bellarmino, il beato John Henry Newman, G.K. Chesterton, C.S. Lewis e Joseph Ratzinger – tra le personalità più brillanti che la cultura occidentale abbia mai prodotto – il fatto che la religione e la ragione siano ritenute in qualche modo incompatibili. E per concentrarsi più precisamente sulla questione della “prova scientifica”, le scienze, ordinate per loro natura e metodo a un’analisi di oggetti e questioni empiricamente verificabili all’interno dell’universo, non possono nemmeno in via di principio affrontare questioni relative a Dio, che non è un essere nel mondo, quanto piuttosto la ragione per la quale il regno finito esiste. È semplicemente impossibile che ci sia una prova o un’argomentazione “scientifica” che affermi una cosa o l’altra in relazione a Dio. Attenzione: ciò non significa sostenere che non ci siano giustificazioni razionali del fatto di credere in Dio. Nel corso dei secoli, infatti, i filosofi hanno articolato dozzine di dimostrazioni di questo tipo, che hanno un’enorme efficacia probatoria, soprattutto quando considerate insieme. Quello che manca a queste argomentazioni, anche se è triste da dire, sono difensori convinti e articolati all’interno del mondo accademico e tra gli insegnanti, i catechisti e gli apologeti.