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Una guida spirituale per combattere la stanchezza cronica

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Orfa Astorga - pubblicato il 30/08/16
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Imparate la differenza tra la necessità di tempo psicologico e quella di tempo spiritualeSono medico, e nella sala dell’ospedale della grande città in cui lavoro ho potuto osservare moltissime persone con i disturbi più diversi e una malattia comune: l’esaurimento.

Ovunque volti stanchi, sguardi tristi con sintomi che gridano che dentro c’è qualcosa di spezzato, al di là dell’aspetto organico. È una stanchezza che fa trascinare i piedi, avere tensione al collo e alla nuca, formicolio ai muscoli, contratture, mente senza capacità di concentrazione, tante malattie psicosomatiche che fanno sì che le persone si muovano pesantemente in cerca di aiuto e che sono il segnale della possibile comparsa di malattie davvero gravi. Queste persone danno l’impressione di trascinarsi nella vita.

È un esaurimento cronico che non si dissolve riposando, e l’internista, il cardiologo, l’oncologo e gli altri esperti affrontano ogni giorno questo fantasma che predispone a tante malattie. L’esaurimento cronico è una malattia silenziosa e mortale, come la pressione alta.

Le persone sembrano non sapere che il loro corpo, la loro mente e la loro anima hanno perso la sincronia vitale e si stanno ammalando per questo. Che gli antibiotici possono attaccare solo un’infezione che non è nella mente e nell’anima, che restano invece senza soluzione.

Io stesso, come tutte quelle persone, ho l’esperienza della mia stanchezza personale. L’ho vissuta e l’ho assunta, convivendoci molte volte senza saper distinguere tra la stanchezza clinica, quella psicologica e quella spirituale.

Esiste, sì, la stanchezza naturale per il fatto di aver lavorato molto a un compito produttivo equilibrato, e a cui si rimedia con una buona notte di sonno.

Ma io, assorbito dal lavoro di fare di più, di guadagnare di più, di ottenere di più, impiegavo il mio tempo in lunghe giornate lavorative, nell’esercizio precipitoso nelle palestre mentre ripassavo le questioni pendenti, nei pasti rapidi mentre lavoravo, nei fine settimana saturi di impegni sociali, nel dormire poco per alzarmi e vivere dipendente dal cellulare programmando e riprogrammando attività. Fin quando non sono crollato.

Ero stanco a livello psicologico, fisico, lavorativo, sociale, ma soprattutto sentivo una profonda stanchezza nel mio essere e desideravo tornare a un vero incontro con Dio, con me stesso, con gli altri, spezzando un’inerzia che mi consumava. Sapevo che la medicina migliore era tornare alle regioni profonde della mia anima e trovare la dimensione delle cose che valgono davvero la pena, perché stavo dimenticando che per vivere si ha bisogno di poche cose, e di poco di queste. Mi si potevano applicare bene le parole di Gesù a Betania: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno”.

Con la comprensione e il sostegno della mia famiglia mi sono preso qualche giorno di ritiro spirituale, senza cellulare, senza Internet.

Ho cercato quella voce dentro di me che so bene che quando l’ho permesso mi ha chiamato per nome per riempire il mio essere di pace, dilatandolo, estendendolo. Una voce che mi parla di infinito, di aneliti alla purezza, di sentimenti di generosità e dedizione, che mi colma di nostalgia per il fatto di voler toccare qualcosa di totale, pieno, assoluto, perfetto e ineffabilmente bello. Una voce che mi parla di tutto quello per cui vale davvero la pena di vivere e per cui si giustifica bene lo sforzo di riordinare le idee, le azioni e le emozioni per recuperare la pace in mezzo alla confusione del mondo.

Ho deciso allora di ridurre il ritmo del lavoro, di guadagnare meno denaro, di fare meno di tutto quello che non era strettamente necessario e di trovare il tempo per Dio. Di recuperare il senso della mia vita.

Quando gli apostoli erano riuniti con Gesù, gli hanno spiegato tutto ciò che avevano fatto e insegnato. Egli ha detto loro: “Venite in disparte (…) e riposatevi un po’”.

Il Divin Maestro propone il giusto riposo accompagnati da Lui per reindirizzare i nostri sforzi, senza dimenticare che per quanto le realtà terrene possano occuparci la prima realtà è Lui.

Dobbiamo imparare a riposarci sforzandoci di differenziare tra tempo psicologico e tempo di Dio.

Il tempo psicologico è il tempo cerebrale, in cui ci rappresentiamo, calcoliamo e ripartiamo in ore e giorni, quello che tentiamo di gestire e programmare. È quel tempo che ci manca sempre, che non abbiamo mai a sufficienza; quello che passa troppo rapidamente o troppo lentamente, e che misuriamo in termini di rendita.

Il tempo per lo spirito è invece il tempo di Dio, quello che attraverso la grazia guida la nostra vita al suo livello più profondo.

Gesù si allontanava recandosi in luoghi solitari, riposava facendo cose diverse, incontrando gli altri e soprattutto avendo un dialogo con il Padre.

Cercava e trovava il tempo dello spirito. Un tempo che se ci sforziamo troveremo anche noi, sempre, in qualsiasi luogo e circostanza. In caso contrario, il tempo psicologico abbraccerà tutto, e arriveranno il vuoto, la stanchezza totale… la stanchezza di noi stessi.

Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò.

Abbiamo bisogno di riposare per contemplare il mondo in cui abita un amore infinito, senza il quale non sarebbe tutto così bello.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]