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“Con il primo prete della Mongolia, Dio visita il suo popolo”

Vatican Insider - pubblicato il 28/08/16

Il primo sacerdote mongolo che è stato ordinato domenica 28 agosto a Ulaanbaatar è «una benedizione speciale di Dio che visita il suo popolo. E’ un dono per la piccola Chiesa in Mongolia, ma anche per la Chiesa universale e per tutto il paese, che non è cristiano». Raggiunto da Vatican Insider, non nasconde la sua gioia Venceslao Padilla, missionario filippino in Mongolia e Prefetto Apostolico nel paese dove solo 24 anni fa il seme del Vangelo è stato nuovamente piantato, dopo il buio del potere comunista che aveva spento ogni esperienza religiosa.  

I preparativi per la celebrazione liturgica sono andati avanti con grande entusiasmo: «E’ un passo storico, che resterà negli annali per la nostra Chiesa. E’ un momento importante, di forte valenza simbolica e incidenza concreta, che rappresenta una spinta per l’opera missionaria. Ho detto nell’omelia della messa: è una ‘visitazione’, un regalo che Dio fa all’intera nazione».  

Alla messa sono state invitate le autorità civili, il sindaco e il governatore «e c’erano anche molti non cristiani, tanta gente che lavora con noi o vicino a noi e non è battezzata», sussurra Padilla. Oltre a 1.500 fedeli presenti, vi sono 100 preti dalla Corea (che ha uno speciale legame missionario con la Mongolia, con cinque preti «fidei donum») e tre vescovi, tra i quali il Nunzio Apostolico che ha portato un messaggio di Papa Francesco. Il rito, presieduto dal Prefetto Apostolico Padilla, è stato celebrato in lingua mongola, con un servizio di traduzione: segno di una Chiesa che si immerge in toto nella vita della immensa nazione centroasiatica. 

La Chiesa cattolica conta oggi in Mongolia 1.300 battezzati e 70 missionari tra religiosi e religiose (circa 20 uomini e 50 suore) da 21 pesi e 12 congregazioni: «E’ davvero il volto della Chiesa universale che contribuisce all’edificazione del Regno di Dio in Mongolia», spiega Padilla. «I missionari stranieri, un mosaico di razze, colori, lingue, non hanno restrizioni», anche se il governo pone una condizione: «Per ogni straniero che entra nel paese, anche se prete o suora, si devono creare alcuni posti di lavoro per persone locali». Lo stato applica una concezione piuttosto funzionalistica e utilitaristica dell’opera missionaria. Ma tant’è. La vita di fede va avanti nelle comunità locali sparse nelle steppe che furono patria di Gengis Khan: «Abbiamo sei parrocchie e altre cinque stazioni missionarie senza un prete residente», ma dove i battezzati vivono una preziosa esperienza di fede. 

Nel vasto paese con meno di tre milioni di abitanti, è stata pubblicata la prima Bibbia in lingua locale e i battesimi continuano con regolarità. La sete di spiritualità lasciata in eredità dall’ateismo di epoca sovietica è ancora da colmare: «La gente continua ad avere un desiderio implicito di Dio, inizia a incuriosirsi alla vita dei credenti. Poi, a chi chiede informazioni, diciamo ‘Venite e vedrete’. E quanti desiderano diventare cristiani iniziano un cammino di catecumenato di due anni», racconta Padilla. 

Il vescovo indica con chiarezza una strada: «Predichiamo con l’azione, annunciamo il Vangelo con la vita e con l’esempio, come diceva Francesco di Assisi. La Chiesa in Mongolia ha avviato oltre 30 tra istituti, centri e iniziative in campo sociale o caritativo. Ci vedono presenti nelle periferie delle città, accanto agli emarginati, ai disagiati e ai sofferenti». 

Sono fiorite negli ultimi vent’anni opere sociali, educative, caritative e umanitarie, come due Centri per bambini di strada, case per anziani e centri per i giovani, asili e scuole primarie, perfino due aziende agricole che promuovono programmi di sviluppo delle comunità rurali, mentre la nazione è alle prese con problemi come diffuso alcolismo, violenza domestica, servizi sociali pubblici precari ed estrema povertà.  

In questo cammino, i frutti della presenza del primo prete autoctono non tarderanno a vedersi: «Già molti giovani si coinvolgono nelle nostre opere: i giovani hanno sempre partecipato alle Giornate Mondiali della Gioventù. Siamo sicuri che l’opera di don Joseph aiuterà tutta la comunità», conclude il Prefetto. 

Joseph Enkh è stato ordinato diacono l’11 dicembre 2014 a Daejeon (in Corea del Sud), dove ha ricevuto la sua formazione iniziale, ed è rientrato in Mongolia a gennaio 2016, svolgendo servizio pastorale in diverse parrocchie. La sera del 29 agosto celebra la sua prima messa nella stessa Cattedrale di San Pietro e Paolo a Ulaanbaatar. Poi di nuovo ad annunciare il Vangelo nelle steppe, dove vive la comunità cattolica più giovane del mondo.  

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