L’arcivescovo di Bologna Zuppi sprona la platea del Meeting. «Con Cristo incontriamo tutti con amore e coraggio»di Benedetta Parenti
Una preghiera per chiedere a Dio di «accogliere chi ha perso la vita la scorsa notte durante il terremoto» segna l’inizio dell’incontro in B1, dove monsignor Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, è stato invitato per descrivere la svolta nella Chiesa dopo il convegno della Cei a Firenze. «Che cosa ci sta chiedendo il papa?» chiede Davide Perillo, direttore di “Tracce”, rilanciando la domanda anche sulla tragedia del sisma. «Io riassumerei l’incontro di Firenze con “Tu sei un bene per me”. Cioè, tu non sei un problema, per questo esco a cercarti, ho bisogno di te per essere più me stesso – spiega l’arcivescovo -. Noi cristiani sembriamo chiusi come gli apostoli prima della Pentecoste: temiamo di “ammalarci”, di “sporcarci” nell’incontro con gli altri. Siamo determinati dalla paura e non dall’amore».
Monsignor Zuppi attrae la platea in un percorso profondo ma vivace grazie alla sua gioiosa simpatia toscana. «Ma voi siete qui perché qualcuno vi ha fatto un discorso, o per qualcosa d’altro? A chi s’immedesimerà con le ferite del mondo, verrà voglia di amare il prossimo e cercherà le risposte che mancano, proprio come ha fatto il buon samaritano». Siamo chiamati alla grande sfida della ricostruzione: «I nostri figli oggi vedono solo indifferenza, stordimento e furti, ma la Chiesa deve essere come una madre che sta vicino al suo bambino anche quando si contorce dal dolore». Si può rispondere alle sfide in modo mediocre: «A Roma una signora non ha aperto al sindaco che citofonava alla sua porta perché “stava a cucinà li carciofi”. A noi la Chiesa chiede di cercare il bene e costruire con pazienza. Benedetto XVI parlava di un pellegrinaggio nel deserto spirituale del mondo contemporaneo è la stessa cosa che ci chiede papa Francesco con l’andare nelle periferie».
La Chiesa deve tornare a essere madre e maestra, ritrovare la sua creatività e generare figli, ma per ripartire occorre guardare il mondo e gli uomini con gli occhi della misericordia. L’amore apre il cuore e mette in movimento perché, nell’incontro con Cristo, torniamo a credere nell’amicizia: «Incontrare gli altri è importante. Non solo tu sei un bene per me, ma tu hai bisogno di me per sapere il tuo valore. Il padre misericordioso abbraccia suo figlio perché vede il potenziale di bene che è in lui. Quell’abbraccio non nasce da un’ingenuità: lui sa quanto vale suo figlio. In ognuno di noi, però, alberga anche il fariseo, il fratello maggiore che giudica tutto senza una prospettiva di bene». Come il padre misericordioso, occorre avere simpatia per l’uomo. Così com’è. La simpatia apre un dialogo imprevisto e creativo, come gli apostoli dopo la Pentecoste, colmi d’amore e capaci di dialogare in ogni lingua. «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e nell’incontro con l’altro accade la Grazia. Il Papa dice che occorrono tre virtù: umiltà, disinteresse e beatitudine. L’umiltà è disponibile, il disinteresse rivela la grandezza del cristiano perché siamo tutti una “povera voce”, la beatitudine è la gioia contagiosa che va incontro al “tu”. È l’andare “in Bassa allegramente”, come dice un canto a voi caro». Zuppi chiude evidenziando la grande responsabilità dei movimenti nella “Chiesa in uscita” indicata da papa Francesco: «Mi piace concludere citando le bellissime parole di Giussani nel ’98. “Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo”. Portiamo la nostra gioia di umili lavoratori nella messe: scopriremo tanti “tu” che saranno il nostro bene!».