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Quando non riusciamo a pregare, a volte, devono essere gli altri a farlo per noi

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Robert Lawton - CC

Colleen Duggan - pubblicato il 23/08/16

Se Dio permettesse a mio figlio di morire, dopo averlo implorato di non farlo, come potrei riprendermi?

Un pomeriggio, quando mio figlio Patrick aveva 3 anni, si è svegliato dal riposino con la parte destra del corpo paralizzata. Non riusciva a camminare. Siamo andati di corsa al pronto soccorso. Patrick è stato quindi ricoverato in ospedale e i dottori gli hanno fatto ogni tipo di test possibile e immaginabile: TAC, risonanza magnetica, esami spinali e del sangue, elettroencefalogramma… Siamo rimasti lì per qualche giorno e, prima di congedarci, una neurologa ci ha spiegato che Patrick aveva avuto un attacco epilettico. Ha indicato la registrazione delle attività cerebrali di Patrick, dicendo:

“La risonanza magnetica mostra un’anomalia nel lobo parietale sinistro di Patrick. Immagino sia questo il motivo della sua difficoltà motoria. Potrebbe esserci un’infezione. Non penso si tratti di un tumore, ma non posso escluderlo totalmente. Ad ogni modo, molto probabilmente le convulsioni dipendono da questa infezione. Gli prescriveremo una terapia a base di steroidi per ridurre la possibile infezione nel cervello. Seguiremo quindi le evoluzioni del caso”.

Ci ha poi congedati.

Siamo quindi tornati a casa. Iniziava per noi un anno intenso fatto di ricoveri in ospedale, esami, medicine e tante domande irrisolte. La condizione di Patrick era peggiorata, e gli attacchi aumentati. Gli furono prescritte diverse terapie da seguire. Abbiamo consultato neurologi, oncologi e altri specialisti per poter capire la radice principale del suo problema neurologico. Nessuno di loro, nonostante gli sforzi fatti, riuscì a dirci cos’era che non andava.

Dopo circa otto mesi senza risposte, Patrick si sottopose a una biopsia cerebrale per escludere il peggio (tumori, ecc.). Ogni esame si rivelò inconcludente, ma lui continuava ad avere attacchi epilettici. Più di un dottore mi ha detto di non avere mai avuto un caso come quello di Patrick, e che era impossibile identificare con esattezza il problema. Si rendevano conto della sofferenza di Patrick, ma apparentemente non c’era niente che potessero fare per aiutarlo.

Ho iniziato a disperarmi.

Sarebbe stato bene Patrick?

Le convulsioni e le paralisi (temporanee e parziali) avrebbero causato danni permanenti?

Saremmo mai riusciti a identificare il vero problema?

Dopo alcuni giorni il peso che avevo per la malattia di Patrick mi immobilizzò. Non riuscivo neanche a pregare. Avevo paura di chiedere a Dio di guarire Patrick, perché… se poi Dio non avesse fatto nulla? Se Dio permettesse a mio figlio di morire, dopo averlo implorato di non farlo, come potrei riprendermi?


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Non riuscivo proprio a pronunciare le parole “Signore, ti prego, guarisci mio figlio”. Era impossibile. Ero perfettamente consapevole che il piano di Dio non prevedeva necessariamente una guarigione miracolosa. Non riuscendo a pregare per la guarigione di Patrick, chiesi ad altri di pregare per me.

Ho chiamato la mia amica Katie e le ho detto che non era una giornata piacevole. Le chiesi di pregare e pronunciare le parole che non riuscivo a dire. E lei lo fece. Poi Katie chiamò altre persone, esortandole a pregare per me.

Dei veri e propri guerrieri spirituali circondarono Patrick con le loro preghiere. È una cosa che mi commuove tuttora. I nostri amici hanno organizzato gruppi di preghiera, hanno raccolto dei soldi per le spese mediche, pregato e digiunato, hanno persino fatto da babysitter agli altri miei figli quando dovevo andare a qualche appuntamento. La nostra parrocchia ha donato i fondi della cena con i Cavalieri di Colombo per coprire una spesa medica molto alta. Una mia cara amica, il cui figlio un tempo era gravemente malato, mi allungò una banconota da cento dollari. Io feci ‘no’ con la testa, e lei mi disse:

“Usa questi soldi per comprarti un libro o qualche dolce al negozietto dell’ospedale. Hai bisogno di spendere qualcosa per te stessa, quando vivi una giornata negativa. Tesoro, mi ricordo perfettamente le mie giornate passate in ospedale. Non dirmi ‘no’. Abbracciami soltanto, va bene così. Prego per Patrick ogni giorno”, mi disse.

Proprio quando mi sono sentita annegare nei problemi, Dio ha riempito casa mia di persone che poterono fare ciò che io non riuscivo a fare: cucinare, pensare ai miei figli, fare la spesa, raccogliere i soldi necessari. Nei momenti di paura, distrazione e tristezza, i miei amici hanno acceso candele, si sono inginocchiati e hanno implorato il Cielo da parte nostra. Hanno portato tutto quanto a Cristo, per noi. E Lui, ovviamente, ha ascoltato. Come sempre fa.

Patrick è gradualmente migliorato. Queste preghiere ci hanno sostenuto e ci hanno dato la lucidità per far iniziare una dieta speciale a Patrick. Sono convinta che questa sia stata la chiave. Da quando abbiamo iniziato quella dieta specifica, le convulsioni di Patrick sono praticamente terminate, e da allora è relativamente sano.

Ma la malattia di Patrick mi ha insegnato un’importante lezione di fede.

Mi ha insegnato che quando affrontiamo dei momenti bui nella nostra vita, non c’è niente di male nel chiedere agli altri di sostenerci. Come gli uomini che hanno fatto scendere dal tetto il loro amico paralitico, in modo da portarlo a Gesù (Luca 5:18-26), così i miei amici hanno portato me e Patrick al Signore, chiedendo a Lui di guarirci.

Quando Gesù ha visto la loro fede, non ha negato la loro richiesta.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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