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Fede e cinema, Hollywood è messa così male?

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Kevin Winter / Staff

Matthew Becklo - pubblicato il 19/08/16

Ed è così importante? Ci sono registi indipendenti che prendono sul serio la religione e hanno la grinta e il talento per intercettare i cinefili disillusi

Steven D. Greydanus ha scritto sulla rivista Crux un saggio in due parti (abbastanza avvilente) su come Hollywood ha rappresentato il cristianesimo (e il cattolicesimo, in particolare) negli ultimi 15 e 25 anni.

Per Greydanus l’iconografia cristiana in Hollywood è generalmente “riferita a violenza omicida o malvagità assoluta” – e non si può dire che manchino esempi a supporto della sua tesi – mentre i casi in cui l’identità cristiana è rappresentata in senso positivo sono da ricercarsi principalmente in film indipendenti, stranieri o horror. “Ecco una domanda che fa riflettere”, scrive Greydanus. “Nei principali film non horror prodotti da Hollywood negli ultimi 10 o 15 anni, ci sono stati significativi in cui la fede o l’identità cattolica siano state rappresentate in modo positivo?” Ci sono alcuni esempi, ma la sua risposta è tendenzialmente negativa. Tra Return to Me e il prossimo adattamento di Silence ad opera di Scorses, Greydanus non vede granché per cui essere entusiasti.


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Ma questa valutazione è inutilmente brutale. Greydanus non fa alcun riferimento al recente boom di film sull’epica biblica, e non ne comprendo il motivo. Penso che qualsiasi indagine imparziale sul cristianesimo nel cinema degli ultimi 15 anni debba perlomeno menzionare La Passione di Cristo, che ha aperto la strada per NoahExodus: dei e re e alcuni altri film sulla Bibbia o sull’epoca biblica (alcuni migliori di altri).

Greydanus non dice neanche che due tra le recenti trilogie di maggior successo (e più costose) sono il frutto dell’immaginazione di J.R.R. Tolkien, che ha definito Il signore degli anelli come “un’opera radicalmente religiosa e cattolica”.

Comunque Greydanus non ha tutti i torti in merito allo spazio che Hollywood riserva al cattolicesimo inteso come tradizione vivente con sacerdoti, sacramenti e vocazioni. In questo senso non c’è molto da celebrare. Film come Warrior Les Misérables ogni tanto mostrano la fede come un qualcosa di positivo. Ma in genere Hollywood mette il cristianesimo in cattiva luce oppure lo ignora totalmente. I cristiani pensano sempre di più che gli insuccessi totali, come God’s Not Dead, siano l’unica opzione possibile per loro.

Ma qui dovremmo porci una seconda, interessantissima, domanda: perché preoccuparci così tanto di Hollywood, se Hollywood sta morendo?

Sul The Atlantic Derek Thompson ha scritto un meraviglioso pezzo sul perché il 2016 potrebbe essere l’anno con meno affluenza ai cinema dagli anni ’20. Così come molte altre industrie, Hollywood è intrappolata nelle sue vecchie sovrastrutture (ad esempio il suo approccio ai film sulla religione) in un’epoca di profonde trasformazioni. Nonostante l’avanguardia degli effetti speciali, la “macchina da sequel” autoreferenziale (quale è ora Hollywood) sforna insuccessi uno dopo l’altro, disaffezionando il pubblico più giovane. Quella di Hollywood è, per farla breve, “creatività codarda”.


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Il presupposto su cui si basa la posizione di Greydanus sembrerebbe essere che una presenza maggiore delle tematiche religiose in Hollywood sarebbe una cosa positiva, perché è ad Hollywood che ricorrono tutti ed è lì che viene formata la visione del mondo di molte persone.

Ma se Thompson dovesse avere ragione, questa posizione sarebbe sbagliata su entrambi i fronti. Le persone – soprattutto i più giovani – vanno al cinema sempre di meno. E quando ci vanno è solo per vedere il loro eroe vivere l’ennesima avventura di esplosioni e proiettili.

Il risultato è che le persone spendono sempre di più per piattaforme democratiche e orientate all’utente, in cui chi ha il coraggio di osare e correre dei rischi – e prendere sul serio la religione è davvero un rischio – può competere meglio con i successi di Hollywood.

Greydanus cita St. Vincent (2014)Calvario (2014), e Uomini di Dio (2010) come tre esempi di film indipendenti che mostrano la fede cattolica in modo positivo.

Ma la lista è lunga. C’è il prete gentile di Brooklyn (2015) (nella sua recensione, Greydanus scrive che Brooklyn presenta la Chiesa come “un’istituzione discreta ma essenziale”); il detective devoto e il criminale pentito di Chi è senza colpa (2014); l’affascinante protagonista di Il cardinale ebreo (2013); tre film drammatici sulle suore (Ida (2013)Marie’s Story (2014) e The Innocents (2016)); gli straordinari documentari di Grassroots Films (The Human Experience (2008)Child 31 (2012), ed Outcasts); poi ci sono The Tree of Life (2011),To the Wonder (2012) e Knight of Cups (2015) di Terrence Malick, nonché il suo prossimo film su Beato Franz Jägerstätter e il documentario Voyage of Time.

In questi anni ne sono successe di cose, nell’industria cinematografica indipendente. Non dovremmo dunque essere eccessivamente delusi dallo stato in cui versa Hollywood. Questi outsider del cinema riflettono la frammentaria energia della Nuova Evangelizzazione, in cui un nuovo ardore e dei metodi innovativi possono conquistare nuovamente i cinefili delusi, e donare loro nuovo vigore. Il rapporto tra cinema e fede all’infuori di Hollywood non è un’appendice alla storia, ma è una nuova storia, a sé stante.

Non è facile, ci sono ostacoli e non ci si guadagna milioni di dollari, ma ci sono storie di fede che continuano ad essere raccontate. E vengono raccontate bene. Se la tendenza dovesse mantenersi quella appena descritta, sarà questo il futuro del cinema.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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