Ce lo spiega il cardinale Angelo Scola
L’uomo è capace di infinito e tuttavia, quando agisce, è sempre prigioniero della finitudine: l’uomo vive da sempre questo paradosso che lo costituisce. Una sorgente dalla quale scaturisce la domanda: «Chi mi libererà da questa condizione?».
Il cardinale Angelo Scola prova a sciogliere questo interrogativo nel suo volume “Capaci di infinito” (Marcianum press). Un viaggio attraverso la scoperta del valore della fede per ogni uomo, grazie alla quale si riesce a dirimere questa condizioni limitante dell’uomo: “tutto finisce”, “tutto è precario”, “vivo con il timore della fine”.
IL “QUID” MISTERIOSO
Si tende a superare questa condizioni di precaria finitudine attraverso varie tappe. In primo luogo attraverso mille segni, evidenzia Scola, l’uomo può accorgersi del mistero ed è spinto a costruire relazioni buone e pratiche virtuose che lasciano emergere quel “Quid” misterioso che la grande tradizione di tutti i popoli chiama Dio.
COGLIERE MEGLIO LA REALTA’
Osserva il cardinale:«Credo che l’uomo di oggi sia chiamato a guardare fino in fondo i tratti fondamentali dell’esperienza umana. Il primo e più importante è la capacità di cogliere il senso della realtà: la realtà è intelligibile e chiede di essere ospitata dalla nostra intelligenza. Già questo implica una trascendenza, cioè un andare oltre l’immediato».
LE RELAZIONI CON GLI ALTRI
Il secondo modo, «che pure è decisivo, in un certo senso, ancora più decisivo del primo, è la relazione, il rapporto». Che cosa dice il sorriso di un bimbo alla mamma o il sorriso della mamma al bambino? «Dice che c’è qualcosa che va oltre il proprio io. La relazione buona e positiva mi induce ad uscire da me e diventa, nello stesso tempo, decisiva e costitutiva per il mio benessere».
LA NOSTRA MISSIONE
Se da una parte bisogna essere maggiormente consapevoli di ogni piccolo gesto che accade nella nostra giornata, dovremmo comprendere meglio che ognuno di noi ha una missione. Scola fa l’esempio di Pietro e Paolo. «Chi di noi si ricorderebbe di Pietro se non avessimo conosciuto, tramite i Vangeli, la sua missione? Chi si ricorderebbe di Paolo se non avessimo conosciuto la sua missione? È la missione che personalizza la vocazione. Lo spiega bene la Lettera agli Ebrei, là dove definisce Gesù come “il mandato” in senso assoluto: in Lui la persona coincide con la missione e la missione è l’Incarnazione».
L’ESEMPIO DI GESU’
L’esempio più eclatante è quello di Gesù, che della sua vita ha fatto una missione per tutti gli uomini.