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Salisburgo, la teologa Mohagheghi: “Delira chi ritiene che il fondamentalismo abbia a che fare con la religione”

Vatican Insider - pubblicato il 10/08/16

Il compito delle religioni nell’Europa di oggi? Individuare una sintesi, inedita, tra ragione ed emozione. L’attuale società europea in piena crisi, economica, politica e soprattutto culturale (compresi i numerosi conflitti a livello familiare) ci pone davanti ad una grande sfida: cercare, insieme, nuovi modelli per costruire una «civiltà della libertà responsabile».  

Con questo appello dell’arcivescovo di Monaco di Baviera, cardinale Reinhard Marx, per un contributo fattivo dei cristiani alla società europea si è conclusa a Salisburgo la tradizionale «Hochschulwoche», la settimana di riflessione e studio delle facoltà teologiche austriache che, a partire dal 1931, dibatte di questioni di attualità tra teologia e altre discipline. Un evento che è promosso in collaborazione con la conferenza degli Abati Benedettini (presente l’abate di Bolzano, Gries Benno Malfer), le associazioni accademiche di Germania e Austria, il Forum College e la Conferenza episcopale tedesca. Obiettivo della Settimana, secondo il neopresidente, il teologo di Salisburgo Martin Dürnberger, nominato a sorpresa al termine dell’edizione 2015 (35 anni, sposato con tre figli e docente di teologia fondamentale ed ecumenica) è più che ambizioso: diventare l’hotspot internazionale degli intellettuali cattolici (l’edizione 2016 ne ha contati più di 800). «Esistono molte scuole, ma una sola è Hogwarts – è il suo motto – esistono molte scuole estive, ma una sola è la Salzburger Hochschulwoche». 

Tema di quest’anno le passioni, intese come ideali in grado di smuovere le persone, dalla crisi dei rifugiati alle questioni delle riforme nella Chiesa, dalla novità del pontificato di Francesco al campionato europeo di calcio. Passioni, e ossessioni, che uniscono, ma anche dividono il (fragile) tessuto sociale, tenuto conto che «non abbiamo bisogno di grigi burocrati, ma persone cariche di passione e capaci di scaldare i cuori» ha detto il vescovo della diocesi ospitante Lackner. Tra i relatori Barbara Schmitz, biblista a Tubinga, il teologo ebreo americano Yaakov Ariel, l’astrofisico Franz Kerschbaum di Vienna, Georg Braungart, direttore dell’Istituto interdisciplinare di ricerca su violenza e conflitti a Tubinga. 

Dalla fine del comunismo l’identità europea non aveva «alcuna garanzia di esistenza» – spiegava il presidente della Conferenza episcopale tedesca, esperto di morale sociale – ma oggi è oltremodo necessario guardare coraggiosamente in avanti senza nostalgia di restaurazione. 

Ricordando il politologo Francis Fukuyama, che negli anni ’90 parlava di «fine della storia», Marx ha sottolineato l‘urgenza delle grandi narrazioni (a partire da quelle bibliche) per costruire nuove identità che non lascino spazio al crescere di nazionalismo e interessi egoistici e una domanda è nell’aria: «Saremo capaci in questa situazione, come Chiesa, di promuovere un nuova sintesi culturale?». 

Ad una condizione: costruire un «ambiente religioso caldo e accogliente» perché «chiunque ascolta il Vangelo non può mai essere un fondamentalista» e la fede non può mai dimenticare «la forza intellettuale della teologia». Di qui l’importanza della formazione delle persone, non solo a livello accademico, ma anche nella pastorale quotidiana delle parrocchie, i luoghi dove la fede cresce e si irrobustisce. 

A questo riguardo è significativo il tema scelto per la settimana 2017: la testimonianza nello spazio pubblico, «la cui occupazione da parte di populisti rischia di rendere sempre più fragile il nostro contesto democratico e costituisce un’autentica sfida alla religione» spiegava l’arcivescovo Franz Lackner. «L’attuale situazione di crisi richiede una forte testimonianza cristiana» ha fatto eco monsignor Egon Kapellari, vescovo emerito, nell’omelia in cattedrale puntando sullo sguardo della fede nel giudicare eventi e persone e il «valore della bellezza che ha ancora diritto di cittadinanza» nonostante la drammaticità del momento.  

Che oggi, purtroppo, prende il nome di fondamentalismo islamico e «l’Islam è un problema per l’Europa» ha affermato la teologa islamica Hamideh Mohagheghi ricercatrice presso il Centro di Teologia comparata dell’Università di Paderborn sottolineando la sfida teologico-politica della radicalizzazione. 

«Non è la fede in sé a indurre le persone al fanatismo, ma non dobbiamo sottovalutare la lettura frammentaria del Corano e “il linguaggio della violenza” di alcuni testi religiosi che servirebbero a legittimare le azioni del Daesh». L’obiettivo dovrebbe essere allora quello di una de-radicalizzazione e sollecitare la politica a prendere provvedimenti contro i movimenti politici o religiosi che puntano ad una radicalizzazione delle parti. Non possiamo permettere, ha ribadito la studiosa islamica, un pensiero in bianco-nero e interrogarci sul perché giovani europei scelgano il cosiddetto Stato islamico senza dimenticare che i motivi non sono religiosi, ma essenzialmente economici e politici. 

«Il fondamentalismo del Daesh è una sorta di Riforma (protestante): l’obiettivo è un ritorno alle origini dopo secoli di colonizzazione occidentale identificata col cristianesimo, l’Islam come una sorta di terza via possibile tra socialismo e il capitalismo». Un’autentica crisi del mondo islamico tra una moderata re-islamizzazione e la modernizzazione occidentale che affonda le radici nella famigerata Guerra del Golfo, la goccia che ha fatto traboccare il vaso e ha riacceso le braci sotto la cenere. 

Fanatismo religioso e violenza sono risposte deviate a sconvolgimenti sociali e destabilizzazioni decennali («pensare di risolvere un conflitto in Iraq in pochi mesi era follia»). 

La conclusione è precisa: «Chiunque ritenga che la violenza fondamentalista abbia a che fare con la religione, sta delirando». 

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