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Il dolore mi ha lasciato una grande rabbia, e solo Dio può aiutarmi

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Alena Navarro- Whyte CC

Leticia Ochoa Adams - pubblicato il 09/08/16

Questa esperienza mi ha mostrato quanto sbagliassi nel tentativo di aiutare gli altri a superare le loro perdite

Sono trascorsi dei mesi da quando l’uomo che ha rappresentato per me la figura paterna, mio zio, è morto. Ho imparato cose che non sapevo, che mi hanno fatto guardare indietro agli ultimi anni e capire quanto sbagliassi cercando di aiutare mio marito a superare le sue perdite, soprattutto quella della madre.

Il dolore è un oceano di emozioni, e nessuno se non Dio e Maria può solcare le onde con me.

Ho perso la mia migliore amica nove anni fa in un incidente automobilistico. Ho lenito il dolore di quella perdita con vodka e notti insonni. Pensavo che quell’esperienza mi avesse resa un’esperta di dolore, ma non era vero. Se perdere la mia migliore amica è stato scioccante e mi ha cambiato la vita, per la morte di mio zio non è stato così.

Ora ripenso con vergogna ai miei tentativi di consolare gli altri.

Dicevo spesso a mio marito cose del tipo “Siamo cattolici. Sappiamo che la morte non vince!” e altre cose sciocche – sciocche perché, anche se sono vere, non derivavano dalla compassione, ma dal desiderio di sorvolare sui suoi sentimenti, di metterci un cerotto. Non avevo idea del dolore che provasse.

Poi, qualche mese fa, sedevo al capezzale di un uomo che è stato come un padre per me – sedevo lì mentre gli veniva tolto il sostegno vitale, veniva cambiato e pulito come un bambino e lottava per parlarci per l’ultima volta. Lo vedevo combattere per riuscire a respirare, e poi se ne è andato.

Lo shock della sua morte è stato una cosa che non avevo mai sperimentato. La mia mente è andata completamente in tilt, e da allora è successo spesso. Non è mia abitudine, perché ho sempre pensato molto, ma ora ci sono momenti in cui non penso o non sento assolutamente niente. Ho perso il senso del tempo. L’unica data che mi è rimasta impressa nella memoria è il 18 aprile. Ricordo tutto di quel giorno, ma ho dei vuoti su tutto ciò che è accaduto da allora.

In contrasto con questi momenti di vuoto ci sono quelli in cui mi sembra che il cuore mi venga strappato dal petto per quanto mi manca mio zio. E non è solo il fatto che mi manchi, ma anche il rimorso per tutte le cose che avrei potuto fare mentre era in vita, come tornare a casa e trascorrere più tempo possibile con lui o rispondere alla sua ultima telefonata, che ho ignorato e non ho mai avuto il tempo di ricambiare. Non so cosa stessi facendo che mi rendeva così “occupata”, ma farei di tutto per tornare indietro e mi darei uno schiaffo per averlo ignorato.

La cosa principale che ho imparato è che il dolore di mio marito è totalmente diverso dal mio. Lui non coglie il mio dolore e io non colgo il suo. Non colgo il dolore di nessuno. Ho ancora difficoltà a capire cosa dire ad altre persone che stanno soffrendo per una perdita. Sono arrabbiata per il fatto che chiunque pensi che ormai dovrei aver “superato” la cosa, ma anch’io la pensavo così quando mio marito era ancora afflitto dal dolore quattro anni dopo la morte della madre. Ora so che non c’è modo di “superare” una cosa del genere.

Mi arrabbio quando le persone sono carine con me e anche quando mi ignorano, mi arrabbio quando mio zio mi manca e quando sto cinque ore senza pensare a lui. Sono arrabbiata e basta.

Tutto quello che faccio o dico ora è diverso; è tutto fatto o detto da una persona che soffre molto dopo aver visto l’uomo più forte che conosceva sperimentare una morte lenta e agonizzante. Ho abbandonato Facebook e ho limitato tutti i miei commenti sugli altri social media, perché sono troppo ferita per parlare con chiunque di qualsiasi cosa.

In questo momento solo Dio può capire me e quello che sto provando, come solo Lui può capire mio marito o altre anime che soffrono nella mia vita.

Le preghiere sono tutto quello che gli altri possono offrirmi nel mio dolore. Chiedo preghiere perché Dio possa trasformare questo dolore e questa rabbia in qualcosa che Lo glorifichi.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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