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Giochi di Rio, la Chiesa non tace e denuncia

Vatican Insider - pubblicato il 08/08/16

Si parte. La 31esima Olimpiade dell’era moderna si inaugura a Rio e al mondo olimpico sono arrivati gli auguri di papa Francesco: «Agli atleti di #Rio2016! Siate sempre messaggeri di fraternità e di genuino spirito sportivo». Papa Francesco ricorda, reduce da Cracovia, i giorni di Copacabana, il suo primo bagno di folla con i giovani di tutto il mondo ed è ben consapevole della forza di aggregazione e fratellanza dello sport. Se le Olimpiadi dovrebbero sempre rappresentare incontro, relazioni, lealtà e competizione, la Chiesa, quella brasiliana in prima linea, non dimentica tutto ciò che intorno all’evento resta ai margini. Migliaia di persone in povertà, sfruttate e senza speranza.

La Chiesa brasiliana e i Giochi di Rio
La Chiesa brasiliana è ovviamente mobilitata da tempo. Tanti vescovi condividono riflessioni sull’importanza dello sport nella promozione di alcuni valori. Sono stati organizzati eventi e iniziative per chiedere di mettere a tema, nei giorni delle Olimpiadi, l’esclusione sociale, la lotta al traffico di esseri umani, al lavoro schiavo e allo sfruttamento. Un centro interreligioso con luoghi di culto per cristiani, musulmani, ebrei, buddisti e indù è stato già costruito nel villaggio olimpico che ospita 10mila atleti, una collaborazione tra Comitato olimpico internazionale e arcidiocesi di Rio de Janeiro. Sul sito della Diocesi carioca è anche ospitata la piattaforma Meu lugar no Rio per tutti coloro che vorranno mettersi a disposizione come volontari o aprire le porte di casa all’accoglienza durante i Giochi. La Chiesa locale è impegnata in un momento importante di testimonianza ed evangelizzazione. Centinaia di giovani, formati dalla Comunità do caos à gloria, andranno a parlare del Vangelo ai turisti durante i weekend

La vergogna delle Favelas e il reato di povertà
La povertà è stata dichiarata un reato. Dal settembre 2015 le famose spiagge di Ipanema e Copacabana di Rio sono proibite ai ragazzini delle favelas. Basta non avere le scarpe o essere vestiti in malo modo per essere bloccati e arrestati da un cordone di agenti mentre il Parlamento brasiliano vorrebbe abbassare a 16 anni l’età in cui si può essere processati come adulti. La presenza di minori – spesso autori di assalti, furti, scippi e altri reati – è vista come una minaccia al Paese, che vorrebbe mostrarsi «pulito» e in grado di garantire tranquillità e sicurezza a turisti e tifosi durante le Olimpiadi. La polizia ammette la morte violenta di molti minori, ma sostiene di aver risposto al fuoco di gruppi criminali o dice che molti minori muoiono nel fuoco incrociato tra bande, poi è la polizia a mettere la pistola accanto o in mano al cadavere di un ragazzo. Nei primi sei mesi del 2015 gli agenti hanno ucciso nello Stato di Rio de Janeiro 347 persone, di cui 170 nella città capitale dello Stato; il 75% delle vittime aveva tra i 15 e i 29 anni; otto su dieci erano afroamericani. L’Unicef parla di 10.500 bambini e adolescenti assassinati in un anno, il doppio rispetto al 1992. In media c’è un minore ucciso ogni ora, 28 al giorno. Non tutti sono vittime della polizia, delle bande, degli squadroni della morte. Molti muoiono durante episodi di criminalità. La lotta alla povertà durante le presidenze di Lula e di Rousseff ha fatto uscire dalla povertà oltre 50 milioni di persone, ma quella brasiliana rimane una società violenta, come quella statunitense. E la polizia brasiliana gode di una sostanziale immunità, come quella a stelle e strisce.

La «Convenzione per i diritti dell’Infanzia», adottata nel 1990, aveva fatto del Brasile un paese-guida in America Latina. Oggi non più. Al di là dei minori assassinati c’è il fenomeno dei bambini e ragazzi scomparsi: si teme che molti siano stati uccisi. Don Renato Chiera, fondatore nel 1986 della Casa do meñor São Miguel arcanjo, comunità per bambini di strada alla periferia di Rio, parla di quattrocento alla settimana, cioè ogni 15 minuti un minore sparisce nel nulla, e in maggioranza sono abitanti delle favelas e sono neri. La Chiesa e le organizzazioni cattoliche – come ricorda in un colloquio don Chiera con don Pier Giuseppe Accornero, sono da sempre in prima linea in questo settore, anche per la loro esperienza plurisecolare in difesa dei minori abbandonati o a rischio. La Chiesa cerca anzitutto di sensibilizzare le comunità e la rete capillare delle organizzazioni cattoliche; si oppone all’abbassamento della soglia di punibilità a 16 anni; ritiene che i minori, anche se reclutati dalle bande, siano più vittime che carnefici, prodotti da una società violenta.

Un impegno ecclesiale che si concretizza nelle periferie
Impegnata nella «Pastoral da criança, pastorale dell’infanzia», la Chiesa è presente in 3.821 municipi del Brasile e si occupa direttamente di circa 1.100.000 bambini tra i 3 e i 6 anni. Vi lavorano 198mila volontari – di cui l’88% sono donne – che  evitano ogni forma di discriminazione e di proselitismo. «Bisogna lottare con ogni mezzo contro l’infamia del traffico degli esseri umani e la diffusa cultura edonistica e mercantile, che incoraggiano lo sfruttamento sistematico della dignità e dei diritti delle persone». A nome di papa Francesco, l’arcivescovo Bernardito Auza, capo della missione della Santa Sede alla Conferenza delle Nazioni Unite per eliminare la tratta dei bambini dei giovani, denuncia ancora una volta «questo cancro sociale».

Una battaglia che la Chiesa – attraverso le parole dei papi e l’impegno concreto delle istituzioni cattoliche – porta avanti incessantemente per contrastare «la tratta delle persone, il lavoro forzato e la moderna schiavitù». È un’infamia che soggioga 2 milioni di minori al mondo. La conferenza organizzata al «Palazzo di vetro» di New York valuta cosa si sta facendo e cosa non si sta facendo, e cosa deve essere fatto per liberare bambini e ragazzi dalla schiavitù e raggiungere l’obiettivo nell’«Agenda» Onu, che obbliga la comunità internazionale entro il 2030 a porre fine all’abuso, allo sfruttamento, al traffico e a tutte le violenze e torture contro i bambini.

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