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Il martirio di don Jerzy Popiełuszko

Jerzy Popieluszko – it

© DR

Silvia Lucchetti - Aleteia - pubblicato il 04/08/16

Il profeta che ha affermato la vita attraverso la morte

Il 6 giugno 2010 papa Benedetto XVI ha proclamato beato don Jerzy Popiełuszko. Il sacerdote fu rapito e assassinato da tre agenti dei Servizi segreti polacchi il 19 ottobre 1984, il suo corpo venne ritrovato il 30 dello stesso mese nelle acque della Vistola nei pressi di Wloclawek. Fino ad oggi più di diciotto milionidi persone hanno visitato la sua tomba divenuta meta continua di pellegrinaggi da parte di fedeli provenienti dalla Polonia e da tutto il mondo.

Cosa spinge questa moltitudine a rendere omaggio al sacerdote polacco?

Il libro di Milena Kindziuk “Popiełuszko” (San Paolo edizioni) cerca di offrire una risposta attraverso la narrazione del sentiero di vita di don Jerzy, oltre ai racconti e ai ricordi intimi delle persone che lo hanno conosciuto negli anni del suo ministero a Varsavia e della vicinanza a Solidarnosc, e che ne hanno tracciato il profilo umano e spirituale. Il percorso terreno del sacerdote scrive l’autrice nell’introduzione “ha un finale tragico: termina con la morte. Anzi, col martirio. Ma che in definitiva risulta vittorioso. È la vittoria del bene sul male, dell’amore sull’odio, della vita sulla morte”.

DON JERZY PERSEGUITATO DAL REGIME COMUNISTA

Don Jerzy fu un personaggio scomodo e pericoloso per il regime comunista, molto legato alla sua terra: oltre a svolgere il suo lavoro parrocchiale, offrì il suo ministero a servizio degli operai e dei lavoratori durante la rivolta anticomunista degli anni Ottanta. Si prodigò nell’organizzare conferenze, incontri di preghiera e servizi di assistenza. Fu vicino al sindacato indipendente Solidarnosc, e le sue omelie durante le messe per la Patria riscossero molta attenzione e ottennero grande seguito.

LA REAZIONE DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Milena Kindziuk racconta nel libro la reazione di papa Giovanni Paolo II alla notizia del rapimento del sacerdote attraverso le parole del cardinale Stanislao Dziwisz, storico segretario del pontefice:

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«Ci tenevamo al corrente sull’evolversi degli eventi. Ricordo che il Santo Padre stava seduto davanti al televisore, ad ascoltare i comunicati, con un’enorme preoccupazione e tristezza sul volto, avvilito. Seguiva con precisione quello che accadeva allora in Polonia»

e quelle pronunciate da lo stesso pontefice il 24 ottobre, cinque giorni dopo la scomparsa di don Jerzy:

«Profondamente colpito da questo fatto, esprimo la mia solidarietà con i pastori e il popolo della Chiesa di Varsavia. Condivido la giusta preoccupazione dell’intera società nei confronti di questo atto disumano, che è espressione della violenza compiuta su un sacerdote e, ovviamente, della violazione della dignità e dei diritti inalienabili dell’essere umano. Faccio appello alle coscienze di coloro che hanno commesso questo atto infame e che di esso dovranno rispondere».

DON JERZY MARTIRE E PROFETA

“L’autentico profeta dell’Europa, quello che afferma la vita attraverso la morte”.
Questa frase di Giovanni Paolo II esprime tutto il senso dell’estremo sacrificio di don Jerzy Popiełuszko. Affermare la vita attraverso la morte può sembrare per l’uomo secolarizzato di oggi un concetto assurdo, delirante e paradossale. Eppure il cristiano, come recentemente avvenuto a Rouen in Francia per padre Jacques Hamel , così come per tanti uomini e donne in Medio Oriente, non raramente è chiamato a testimoniare la sua fede fino almartirio. Questa potenziale “vocazione” del cristiano è ben rappresentata nel seguente passo dell’introduzione dell’autrice al suo testo:

«Nella tradizione ecclesiastica più antica, in greco e in latino, il cristiano che dava la vita per la fede, veniva definito «testimone» (martyr), e il suo dare la vita veniva chiamato «testimonianza» (martyrium). L’essenza del martirio era dunque la conferma della fede. I perseguitati perseveravano nella verità, sopportando la sofferenza, superando la paura e qualunque moto di rabbia nei confronti dei persecutori. In ciò c’era qualcosa di straordinario. In fondo la paura della sofferenza e della morte è universale, tocca ognuno di noi. I martiri si comportavano diversamente. Dal punto di vista umano, in modo del tutto incomprensibile, addirittura impossibile da attuare. In tal modo confermavano che esisteva Qualcuno di più grande che dava loro la forza. In questo consisteva la loro testimonianza. Così andò a morire da martire anche don Jerzy. Resterà ormai per sempre nella storia dell’umanità, come testimone irremovibile della Verità».

I FRUTTI MIRACOLOSI NATI DAL SACRIFICIO DI DON JERZY

In linea con quanto affermato da Tertulliano, “il sangue dei martiri è seme di cristiani”, anche nel caso del sacerdote polacco si è registrato dopo la sua morte uno straordinario fiorire di frutti di vita e di fede rappresentati da guarigioni miracolose e incredibili conversioni di cui il libro offre un’ampia testimonianza e di cui riportiamo due casi emblematici.

LA GUARIGIONE DEL PROFESSOR STEFAN ŚWIEŻAWSKI DA UN TUMORE

“(…) a un famoso professore polacco, Stefan Świeżawski, (…) era comparsa un’ulcerazione in cima alla testa. Dopo qualche settimana si era trasformata in una grande ferita, che non voleva rimarginarsi. Quando andò dal medico, la diagnosi fu chiara: tumore. Era necessaria un’operazione. «Allora io e mia moglie cominciammo a recitare la novena a don Jerzy Popiełuszko» scrisse il professore nella sua lettera all’ufficio per la postulazione delle cause di beatificazione. A metà della novena si recò all’Istituto di Oncologia di Varsavia. Venne a sapere che il tumore era sparito. Il cancro venne escluso dai medici e l’operazione risultò superflua. «Io e mia moglie abbiamo la convinzione che questo sia successo per l’intercessione di don Jerzy e per questo lo rendo noto»”.

PERDERE LA FEDE A CAUSA DELLA GUERRA E RITROVARLA ATTRAVERSO DON JERZY

«Desidero comunicare la guarigione spirituale di mio zio (74 anni), che per oltre 40 anni non si era confessato. Aveva perso la fede durante la guerra, quando era stato deportato a Dachau e poi a Majdanek». «Era il 19 ottobre 1984. Lo zio (…) seguiva le notizie sul rapimento di don Jerzy Popiełuszko alla radio. Due giorni dopo ricevette in sogno da don Jerzy l’ordine di andare in chiesa e di accostarsi al sacramento della penitenza. Il 22 ottobre 1984, mentre ascoltava di nuovo un trasmissione radiofonica sul rapimento di don Jerzy, disse a suo cognato che don Popiełuszko era morto. Allora ci raccontò il suo sogno. Anche se si sentiva assolutamente bene e non si aspettava nessuna malattia, tuttavia la domenica successiva si recò alla chiesa di Trzebieszów (…) Non ebbe però il coraggio di accostarsi al sacramento della penitenza. La settimana dopo si ammalò improvvisamente e venne ricoverato in ospedale (aveva, come si seppe in seguito, un cancro allo stomaco).

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(…) Cercai di parlargli con affetto e (…) Dopo molte insistenze, permise che andasse da lui un sacerdote. Andammo in canonica, dove era in corso il pranzo di Natale. Il sacerdote interruppe il pasto e venne con noi, portando con sé il Signore Gesù e gli oli santi. (…) Rientrammo nella camera, dove lo zio, dopo 45 anni di lontananza da Dio, era sollevato e contento: “Dio sia lodato, Dio sia ringraziato!”. Si avvertiva la gioia, pur nel dolore e la presenza del Signore Gesù in quella persona sofferente. Salutammo lo zio Stefan (…) Tornammo a casa felici del fatto che il malato si fosse riconciliato con Dio. (…) alle 2 di quella notte lo zio era morto. Grande è stata la nostra gioia, perché lo zio aveva fatto in tempo a riconciliarsi con Dio, prima di morire. Questa riconciliazione la dobbiamo al martire don Jerzy(…)».

IL DOLORE E LA FEDE DI UNA MADRE

“È difficile immaginare una scena più tragica. La madre guarda la fotografia del figlio assassinato. Lo riconosce a malapena. Il viso è massacrato, le orbite ingiallite. Il corpo è contorto, le gambe, con le ginocchia piegate, sono legate con una corda a cui è attaccato un sacco pieno di pietre. Le dita delle mani annerite, le unghie livide. L’abito talare strappato e tutto sporco di fango”.

La madre di don Jerzy, Marianna Popiełuszko, di fronte a una tale atrocità dimostra lo stesso spirito di misericordia della Madre Celeste ai piedi della croce:

“(…)«Che dire? È un grande dolore. Si riapre una vecchia ferita e quella ferita c’è e ci sarà sempre, perché chi può dimenticare una cosa del genere? Ma io non condanno nessuno, non chiedo la morte di nessuno. La cosa che mi farebbe più piacere sarebbe che gli assassini si convertissero. E, se tale sarà la volontà di Dio, vorrei vivere almeno fino a quando verrà fissata la data della beatificazione»”.

Marianna ha ricevuto la grazia dal Cielo di morire all’età di 93 anni, solo dopo la conferma da parte della Chiesa di ciò di cui lei era fermamente convinta: la santità di suo figlio.

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