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La lezione Kardashian/Swift: non voglio essere una 14enne spirituale per sempre

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Eva Rinaldi - CC

Suor Theresa Aleteia Noble - pubblicato il 03/08/16

Solo i ricchi possono rimanere intrappolati nei loro desideri? Attenzione, nessuno è immune

Prima di unirmi alle Figlie di San Paolo volevo compiere un viaggio in India. Chiesi due mesi di congedo al lavoro e li ottenni (il mio capo era del Kerala ed era entusiasta all’idea che io fossi così ansiosa di visitare il suo Paese). All’ultimo minuto, però, cambiai idea per visitare il convento.

Dopo aver pregato, capii che i miei progetti di viaggio erano appunto i miei progetti, non il progetto di Dio.

La mia voglia di girovagare ha tuttavia rialzato la testa, e probabilmente non rimarrete sorpresi sentendo che di recente ho provato un po’ di claustrofobia in convento. Ho nel sangue l’amore per l’avventura, e ogni volta che vedo profilarsi davanti a me mesi o anni nello stesso posto inizio a sentirmi soffocare, come se non riuscissi a respirare. In un mondo di foto glamour di viaggi su Instagram e folle di giovani cattolici che si recano a Cracovia per la GMG, una suora chiusa in un convento può iniziare a diventare claustrofobica. Almeno una suora come me (non voglio neanche pensare a come mi sentirei se Dio mi avesse chiamata alla vita claustrale!)

Di recente ho portato questi sentimenti nella preghiera, e ho iniziato a riflettere sull’episodio narrato negli Atti degli Apostoli in cui Pietro fugge di prigione (Atti 12). Pietro venne catturato da Erode e probabilmente sarebbe stato ucciso il giorno dopo, e allora fece quello che facciamo tutti noi quando siamo sopraffatti dal dolore: si addormentò. Pietro dormiva tra due guardie, “legato con due catene”, quando all’improvviso “una luce sfolgorò nella cella” e un angelo del Signore arrivò e toccò il suo fianco, dicendo fondamentalmente: “Alzati, ma prima mettiti le scarpe e il mantello”.

Pietro, con gli occhi annebbiati e confusi, seguì l’angelo fuori dalla prigione. Fu solo quando attraversarono la porta di ferro che conduceva in città e l’angelo scomparve che Pietro si rese conto scioccato che ciò che stava sperimentando era reale (nonostante fosse stato fatto uscire di prigione da un angelo già in precedenza, come ricordano gli Atti – penso che tutti noi ci mettiamo molto a imparare).

Quando ho riflettuto per la prima volta su questo passo ho pensato in modo melodrammatico: “Sono in prigione come Pietro! La mia prigione è il convento. Voglio salire subito su un aereo diretto a Nuova Delhi o a Cracovia!”

Mentre leggevo questo brano e pregavo, però, ho capito che ci sono prigioni che mi spaventano molto più degli edifici.

Mi spaventa il fatto di invecchiare senza diventare più matura.

Mi spaventa l’idea di concentrarmi sulla lista di cose da fare anziché sul crescere nell’amore.

Mi spaventa vivere una vita che pone la scelta al di sopra della libertà dell’anima.

Mi spaventa l’idea di invecchiare ma avendo l’anima di un’adolescente immatura.

Mi spaventa l’idea di giacere sul letto di morte con rimorsi.

“Vuoi vivere la vita a modo tuo”, mi ha detto di recente una superiora nel suo modo amorevole ma diretto.

È vero.

In qualche modo lo facciamo tutti.

Non siamo mai soddisfatti della nostra vita perché segretamente, non importa quanto cerchiamo di fingere che non sia vero, ci aspettiamo tutti che la vita ci coccoli, ci realizzi, ci dia quello che vogliamo, sia modellata sulla nostra realizzazione. Anche nella Chiesa, ci aspettiamo che le nostre parrocchie, le nostre diocesi, i nostri sacerdoti e religiosi, i nostri laici, i nostri apologeti si conformino alle nostre idee, ai nostri desideri. E allora vogliamo vivere in comunità, trovare un rapporto, ma nessuna comunità è mai abbastanza buona per noi. Ci sono sempre tanti problemi, tante questioni che verrebbero risolte se solo gli altri seguissero le nostre indicazioni per i loro problemi.

Vogliamo vivere a modo nostro.

Ma mentre la mia anima grida chiedendo libertà, prego di ascoltare un grido più profondo. È una supplica per l’autentica libertà. Nessun girovagare, niente “estensione di scelte”, ma santità.

Molte persone con tutto il denaro e le scelte del mondo sono confinate nelle prigioni della propria immaturità (viene in mente un certo faida Kardashian/Swift), ma i ricchi non sono gli unici suscettibili all’immaturità. Siamo tutti immaturi nei tanti modi in cui non siamo come Gesù Cristo. La maturità dal punto di vista cristiano è diventare simili a Cristo, e questo è possibile attraverso i sacramenti e partecipando alla dinamica della vita cristiana che svuota il proprio io: “La Chiesa dispone coloro che l’ascoltano a credere e a professare la fede, li dispone al Battesimo, li toglie dalla schiavitù dell’errore e li incorpora a Cristo per crescere in lui mediante la carità finché sia raggiunta la pienezza” (Lumen Gentium, n. 17).

Se ci avviciniamo a Dio, il Dio che ha permesso di essere inchiodato alla croce e lasciato morire, troviamo una libertà più profonda del momento fugace, dei feudi di Snapchat, degli yacht e delle case da milioni di dollari. Più profonda anche dei nostri desideri positivi – di amore, accettazione, realizzazione e felicità. Abdicando dalla nostra vita e dai nostri desideri (buoni e cattivi) davanti a Dio, troviamo la libertà dalle prigioni del nostro egoismo, del nostro orgoglio e del nostro desiderio di fare tutto sempre a modo nostro.

Gesù, liberaci dall’unica prigione che dovremmo temere, quella del nostro peccato.

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Suor Theresa Aletheia Noble, fsp, è autrice di The Prodigal You Love: Inviting Loved Ones Back to the Church. Di recente ha pronunciato i primi voti con le Figlie di San Paolo. Ha un blog su Pursued by Truth.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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