Solo i ricchi possono rimanere intrappolati nei loro desideri? Attenzione, nessuno è immune
Prima di unirmi alle Figlie di San Paolo volevo compiere un viaggio in India. Chiesi due mesi di congedo al lavoro e li ottenni (il mio capo era del Kerala ed era entusiasta all’idea che io fossi così ansiosa di visitare il suo Paese). All’ultimo minuto, però, cambiai idea per visitare il convento.
Dopo aver pregato, capii che i miei progetti di viaggio erano appunto i miei progetti, non il progetto di Dio.
La mia voglia di girovagare ha tuttavia rialzato la testa, e probabilmente non rimarrete sorpresi sentendo che di recente ho provato un po’ di claustrofobia in convento. Ho nel sangue l’amore per l’avventura, e ogni volta che vedo profilarsi davanti a me mesi o anni nello stesso posto inizio a sentirmi soffocare, come se non riuscissi a respirare. In un mondo di foto glamour di viaggi su Instagram e folle di giovani cattolici che si recano a Cracovia per la GMG, una suora chiusa in un convento può iniziare a diventare claustrofobica. Almeno una suora come me (non voglio neanche pensare a come mi sentirei se Dio mi avesse chiamata alla vita claustrale!)
Di recente ho portato questi sentimenti nella preghiera, e ho iniziato a riflettere sull’episodio narrato negli Atti degli Apostoli in cui Pietro fugge di prigione (Atti 12). Pietro venne catturato da Erode e probabilmente sarebbe stato ucciso il giorno dopo, e allora fece quello che facciamo tutti noi quando siamo sopraffatti dal dolore: si addormentò. Pietro dormiva tra due guardie, “legato con due catene”, quando all’improvviso “una luce sfolgorò nella cella” e un angelo del Signore arrivò e toccò il suo fianco, dicendo fondamentalmente: “Alzati, ma prima mettiti le scarpe e il mantello”.