Padre Christian de Chergé, monaco e superiore dei martiri di Tibhirinedi Ruth Baker
La Chiesa è sempre perseguitata, e lo sappiamo. Viene costantemente perseguitata in tutto il mondo. Negli ultimi mesi, le ondate di questa persecuzione si sono avvicinate sempre più al nostro mondo occidentale per la prima volta in centinaia di anni. In Occidente non siamo abituati al concetto di martirio. Ci spaventa.
Con il martirio di padre Jacques Hamel, tuttavia, questo concetto sta diventando più reale. Stiamo iniziando a sperimentare qualcosa della realtà che per molti Paesi è purtroppo fin troppo familiare. I media hanno iniziato a chiedere alle nostre chiese cattoliche come intendiamo rendere più sicure le nostre chiese. Cosa faremo per assicurare che nessuno possa entrare per commettere violenza?
La soluzione più rapida e semplice sarebbe ritirarci con le nostre paure dietro la sicurezza delle barricate sia mentali che fisiche, ma sappiamo che non è quello che il cristiano è chiamato a fare. Tenendo a mente tutto questo, ho ricordato ancora una volta il testamento di padre Christian de Chergé, monaco e superiore dei martiri dell’Atlante rapiti e uccisi durante la Guerra Civile algerina nel 1996. Il loro assassinio venne rivendicato da un gruppo fondamentalista islamico (il film Uomini di Dio racconta la loro storia).
Sapendo per molti mesi che il loro martirio era molto probabile, padre Christian scrisse un testamento da leggere nel caso in cui fosse morto. Penso che in questo momento sia importante rivedere ciò che ha scritto perché ci sono molti aspetti profondi che se ne possono trarre e molte cose da poter applicare anche alla nostra situazione. È un promemoria del fatto che siamo tutti, in modi diversi, chiamati al martirio, che si tratti della persecuzione quotidiana della nostra fede o della rinuncia letterale alla nostra vita.
Nonostante la paura e l’agitazione che doveva provare e a cui avrebbe potuto essere tentato di soccombere, Christian de Chergé scrisse con un amore e una bellezza che vanno al di là della paura della morte. Le sue parole sono un promemoria del fatto che dovremmo pregare per il momento della nostra morte, in qualsiasi circostanza possa avvenire. Nonostante la paura che possiamo provare per la situazione mondiale attuale, dovremmo ricordare sempre di avere riconciliazione nei nostri cuori. Ciò può significare una cosa semplice come pregare per la nostra conversione più profonda, per i nostri nemici e per la conversione altrui.
Leggendo questo testamento, che lo abbiate già fatto o lo facciate per la prima volta, vi invitiamo a chiedervi cosa Dio stia dicendo direttamente a voi attraverso questo testo.
Il testamento di Christian de Chergé
Se un giorno dovesse succedermi – e potrebbe essere oggi – di diventare una vittima del terrorismo che ora sembra pronto a colpire tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che i membri della mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, ricordassero che la mia vita è stata donata a Dio e a questo Paese. Chiedo loro di accettare che l’Unico Signore della vita non è stato estraneo a questa brutale dipartita. Chiedo loro di pregare per me, perché come potrei essere ritenuto degno di un’offerta simile? Chiedo loro di poter associare questa morte alle molte altre altrettanto violente ma dimenticate nell’indifferenza e nell’anonimato.
La mia vita non vale più delle altre, né meno. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapere che condivido il male che sembra prevalere nel mondo, anche quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Quando arriverà il momento, vorrei avere uno spazio chiaro che mi possa permettere di implorare il perdono di Dio e di tutti gli altri esseri umani, e allo stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi ucciderà.
Non potrei desiderare una morte simile. Mi sembra importante dirlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi se questa gente che amo dovesse essere accusata indiscriminatamente del mio omicidio. Sarebbe un prezzo troppo alto per quella che forse verrà chiamata “la grazia del martirio” attribuirlo a un algerino, chiunque sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a quello che ritiene sia l’islam. Conosco il disprezzo che può essere provato nei confronti degli algerini in generale. Conosco anche la caricatura dell’islam incoraggiata da un certo tipo di islamismo.
È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con le ideologie fondamentaliste degli estremisti. Per me, l’Algeria e l’islam sono qualcosa di diverso; sono un corpo e un’anima. L’ho detto abbastanza spesso, credo, nella sicura consapevolezza di quello che ho ricevuto in Algeria, nel rispetto dei credenti musulmani – trovare qui tanto spesso quell’elemento del Vangelo che ho imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia prima vera Chiesa.
La mia morte, ovviamente, sembrerà giustificare chi mi ha giudicato frettolosamente ingenuo o idealistico – “Ci dica ora cosa ne pensa!” -, ma queste persone devono capire che la mia più grande curiosità sarà allora soddisfatta. È quello che riuscirò a fare, se Dio vuole – immergere il mio sguardo in quello del Padre; contemplare con lui i suoi figli dell’islam come li vede, tutti splendenti della gloria di Cristo, il frutto della sua Passione, pieni del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione e rimodellare la somiglianza, gioendo nelle differenze.
Per questa vita offerta, totalmente mia e totalmente loro, ringrazio Dio, che sembra aver desiderato tutto questo per il bene di quella gioia in tutto e nonostante tutto. In questo “Grazie” pronunciato per tutto nella mia vita da questo momento in poi, includo sicuramente voi, amici di ieri e di oggi, e voi miei amici di questo luogo, insieme a mia madre e a mio padre, ai miei fratelli e alle mie sorelle e alle loro famiglie – il centuplo garantito come promesso!
E anche te, amico del mio momento finale, che forse non sai cosa stai facendo. Sì, dico questo “Grazie” – e questo adieu – anche a te, per affidarti al Dio il cui volto vedo nel tuo.
Spero che potremo ritrovarci come felici “buoni ladroni” in Paradiso, se così vorrà Dio, Padre di entrambi. Amen.
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Ruth Baker ha 25 anni ed è inglese. Ama correre, fare campeggio e scrivere. Attualmente studia Scrittura Creativa all’università. La sua fede significa tutto per lei.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]