Ieri, a Messa, ho aguzzato la vista vedendo uno dei lettori correre lungo la navata inseguendo una ragazzina. La nostra chiesa è grande e i momenti di agitazione sono rari, e allora ho guardato cosa stesse succedendo. Il lettore ha raggiunto la ragazzina, le ha sussurrato qualcosa con decisione e lei, con aria colpevole, ha tirato fuori un’ostia dalla tasca e l’ha mangiata.
Quando ho capito cosa stava succedendo – quando ho capito che qualcuno se ne stava andando con Nostro Signore tenuto come uno snack –, sono entrata in panico. Era come stare alla fiera della contea, guardarsi intorno e rendersi conto che manca un bambino, trascinato via dalla folla. Il piccolo è perso, rapito, calpestato, scomparso. Dov’è andato? Ti riempi di adrenalina, la terra ti trema sotto i piedi e non sai se correre o cadere al suolo.
E poi è successo di nuovo. Un’altra ragazzina ignorante vagava per la navata, e ancora trambusto ansioso per inseguirla. Un’altra richiesta sussurrata, e la ragazzina si è messa l’ostia in bocca, perplessa per la confusione.
Ho visto l’Ostia riscattata. Tutti ne sono usciti al sicuro, niente rapimenti. E come quando il bambino che si era perso alla fiera viene ritrovato, il sollievo ha trasformato il mio panico in lacrime di rabbia.
“Dov’eri?”, ho gridato dentro di me. “Che problema hai? Non sai che non puoi andartene così? Devi stare con me, proprio qui, dove sarai al sicuro!”
“Non sai che avresti potuto farti male?”
Ah, Lui lo sa.
Ho gridato, e Cristo ha girato la testa e mi ha guardato, e il mio mondo è andato in frantumi.