Sono stati mesi di dolorosa attesa quelli vissuti dalla diocesi di Lione a seguito delle denunce di pedofilia presentate nel mese di marzo: l’inchiesta giudiziaria riguardava un prete, Bernard Preynat, accusato a fine gennaio scorso di abusi compiuti in un gruppo di scout tra il 1986 e il 1991, ma i fatti conducevano inevitabilmente ai vertici, all’arcivescovo cardinale Philippe Xavier Ignace Barbarin, un pastore assai noto soprattutto nell’era pre-Bergoglio o se vogliamo pre-Pontier, l’attuale presidente della Conferenza episcopale francese, per la disinvoltura con cui scendeva in piazza accanto ai manifestanti in difesa della famiglia e per le sue parole chiare contro alcune decisioni del governo (tanto che qualcuno sottovoce alludeva a una sorta di rappresaglia tardiva).
L’accusa nei suoi confronti era quella di «occultamento di crimine», come dire insabbiamento, e non sembrano esserci dubbi sulla consapevolezza della «gravità della situazione», come ha dichiarato all’indomani lo stesso Barbarin che ha subito assicurato piena disponibilità a far luce sulla vicenda che, come si può ben immaginare (le vittime all’epoca avevano dagli 8 agli 11 anni), richiedeva un approccio prudente.
Una vicenda sulla quale far luce diventava oltremodo complicato anche per il fatto che, all’epoca dei fatti arcivescovo di Lione era Albert Decourtray, deceduto nel 1994.
Secondo l’avvocato delle vittime, Federico Doyez, «i fatti erano noti alle autorità ecclesiastiche fin dal 1991», anche il portavoce della diocesi di Lione ha sempre dichiarato che «il cardinal Barbarin aveva ricevuto la prima informazione solo nel corso dell’estate 2014» e dal Vaticano si aggiungeva che, di conseguenza, la responsabilità era precedente. Mentre lo scandalo cresceva in tutto il Paese e contemporaneamente l’imbarazzo dei vescovi francesi – determinati ben prima a stroncare sul nascere ogni forma di pedofilia e decisi a denunciare ogni abuso «Stiamo lavorando da 15 anni su questi temi» dichiarava con amarezza monsignor Georges Pontier – Barbarin in un’intervista a La Croix dell’11 febbraio, iniziava ad ammettere di esserne venuto a conoscenza già negli anni 2007-2008 e di aver allontanato padre Preynat, reo confesso davanti all’autorità giudiziaria, dalla sua parrocchia di Roannais a fine agosto 2015.
L’incontro in Vaticano con papa Francesco a maggio aveva posto fine alle tante voci che chiedevano le dimissioni del Cardinale (qualcuno era determinato a «far saltar la diocesi») o quantomeno un disappunto pontificio nei suoi confronti. Barbarin nel corso della Quaresima 2016 aveva anche chiesto scusa alle vittime a nome della diocesi. Lo stesso Bergoglio, in un’intervista a La Croix del 17 maggio esprimeva fiducia nella magistratura astenendosi da ogni giudizio. «Non si abbandona una nave nella tempesta» dichiarava Barbarin su Le Figaro del 21 maggio al rientro.
E ieri, 1 agosto, la conclusione della vicenda con l’archiviazione dell’inchiesta parallela a quella di padre Preynat.
Evidentemente ai giudici le accuse non erano sufficienti a incriminare l’Arcivescovo attuale, come non era bastata la lettera indirizzata a papa Francesco partita da Lione a fine marzo a firma di tre membri dell’associazione delle vittime, denominata «La Parole libérée» per chiedere a Bergoglio «maggior coerenza di quella espressa dalla Chiesa di Francia» e indurlo a rimuovere Barbarin.
Se il sito della diocesi di Lione non fa ancora cenno alla notizia dell’archiviazione, il quotidiano Le Monde pubblica invece un’ampia ricostruzione dei fatti sottolineando in particolare la lunga audizione, oltre dieci ore, avuta da Barbarin in procura e dove il cardinale si era mostrato categorico nell’affermare di non aver «mai» coperto atti di pedofilia.
«Questa decisione ci ha sorpreso, ma la rispettiamo» ha dichiarato Emmanuelle Haziza, una degli avvocati delle vittime. Il fatto è che l’archiviazione era necessaria, da parte dell’autorità giudiziaria, per via dei tempi di prescrizione (sono ormai trascorsi più di 25 anni) e perché i magistrati han dovuto tener conto delle dichiarazioni a loro rese da Barbarin (ossia di esserne venuto a conoscenza solo nel 2014) e non di quanto da lui affermato nell’intervista, non acquisibile agli atti. E tantomeno potevano tener conto della risposta del 3 febbraio 2015 a firma dell’arcivescovo Ladaria, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede che, «dopo aver attentamente studiato il caso di Bernard Preynat» raccomandava «una sanzione adeguata, evitando pubblico scandalo». Di fatto Preynat con decreto del 29 luglio 2015 veniva sospeso da ogni ministero pastorale che comportasse un contatto con minori.
Secondo l’indagine giudiziaria non si sono ravvisati altri atti penalmente perseguibili compiuti da padre Preynat dal 1991 in qua. All’epoca dei fatti il termine per la prescrizione per atti di violenza sessuale era di 3 anni, quindi, secondo gli avvocati difensori di padre Preynat, le vittime avrebbero dovuto esporre denuncia al più tardi entro il 1994.
Nel frattempo i vescovi francesi, nel corso dell’assemblea plenaria di primavera dell’aprile scorso a Lourdes avevano introdotto una linea di ancora maggior fermezza dichiarando che «la violenza subita non va in prescrizione» e introducendo le cosiddette «cellule di sorveglianza» per una lotta permanente alla pedofilia.
Difficile dire se la conclusione della vicenda giudiziaria sarà sufficiente a placare la bufera mediatica e spegnere i riflettori sulla diocesi di Lione in una terra di Francia già scossa dalle dolorose vicende delle scorse settimane.