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Essere cattolici non fa schifo

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Tom Hoopes - pubblicato il 01/08/16

Lettera a un'universitaria che si è persa la Giornata Mondiale della Gioventù

Cara Hannah,

due persone diverse mi hanno girato il tuo post Being Catholic sucks (Essere cattolici fa schifo). Mi è piaciuto molto. È onesto, diretto e pone domande che devono essere poste.

Rivela che sei una persona rara: una persona onesta.

Penso che se ci fossero più persone oneste come te quasi nessuno direbbe “Sono spirituale ma non religioso”. Molti di noi direbbero “Sono religioso, ma non spirituale”.

Tu dici: “Ritengo il cattolicesimo bellissimo e logicamente coerente con se stesso e con il mondo che mi circonda”, ma “il mio legame con la mia fede è totalmente intellettuale; non c’è spazio per grandi emozioni. Quando prego, non sento niente”.

Chiedi accorata: “Come mai nessuno ammette che il cattolicesimo è difficile? Ho raggiunto il punto di disperazione e ho avuto un crollo emotivo perché pensavo di essere sola nella mia imperfezione… Sono l’unica che lotta? Davvero? Sono l’unica che pensa che la musica di lode e adorazione sia brutta e poco ispiratrice, e non va a Messa per divertimento? Lo potete ammettere, per favore?”

Penso di capire cosa stai dicendo, perché credo di rivederci anche la mia esperienza.

Anch’io ho una certezza intellettuale sul cattolicesimo e un cuore che non si accende come un neon, ma molto tempo fa ho smesso di pensare che “Essere cattolici fa schifo”. Permettimi di spiegarti come ci sono riuscito.

In primo luogo ho smesso di concentrarmi sul fedele che alza le braccia in segno di vittoria e ho iniziato a guardare a quello con la testa china sfidato dalla sua fede.

Non ho niente contro i fedeli entusiasti, anzi, li invidio. Sono quelli che vediamo alla Giornata Mondiale della Gioventù. I Vangeli li illustrano più di una volta. Gesù li loda quando dicono “Signore, anche i demoni sono a noi soggetti” e difende con forza il loro entusiasmo davanti ai farisei.

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Ma non sono gli unici che Gesù ascolta. Ascolta anche persone come te e me.

Mi piace la storia dell’esorcismo nel Vangelo di Marco, in cui Gesù perde il controllo perché è disgustato dai credenti che mancano di fede.

I discepoli stanno fallendo miseramente nell’aiutare un ragazzo posseduto, e Gesù dice: “O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me”.

Se ti infastidisce che la gente sembri pensare a Gesù come a un amico immaginario magico, allora leggi lì. Lui è reale. Ci irritiamo per le Messe o le preghiere noiose, e lui si irrita per la nostra noiosa e inutile mancanza di fede. E non finisce qui.

Il padre del ragazzo dice a Gesù: “Se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”.

“Se tu puoi!”, ripete Gesù irritato. “Tutto è possibile per chi crede”.

E allora il padre del ragazzo pronuncia quella che è una delle mie preghiere preferite, che ti raccomando caldamente: “Credo, aiutami nella mia incredulità”.

La recito spesso, e quando lo faccio sono consapevole del fatto che mi inserisce nel campo dei fedeli che tremano davanti ai demoni, non di quelli che li fanno tremare. Mi va bene, perché Gesù risponde alla preghiera di questo padre come risponde alle loro.

E non è l’unica preghiera che prendo in prestito dai seguaci dei Vangeli sfidati dalla fede. Dico anche: “Gesù, salvaci o moriremo” quando sembra che mi stia facendo volare via. Aggiungo perfino: “Maestro, non ti importa che affondiamo?”

Uso anche la preghiera che Gesù ha raccomandato personalmente a noi che non siamo religiosi come tanti altri: “Signore, abbi pietà di me peccatore”.

In secondo luogo, gli chiedo di smettere di camminare davanti a me, di fermarsi e voltarsi.

Questo mi ricorda il mio passo evangelico preferito: la donna che soffriva di emorragia. Mi piace soprattutto la versione di Marco.

Gesù sta andando a un appuntamento molto importante: sta andando A) a risuscitare una bambina dai morti, B) a farlo per Giairo, un funzionario importante, e C) a farlo davanti alla folla.

Sta andando da una persona entusiasta della sua religione per fare qualcosa che cambierà il suo personaggio pubblico. Ma una persona sfidata dalla fede come te e me lo interrompe.

All’inizio la donna non riesce nemmeno a pregare Gesù. Riesce solo a dire tra sé e sé: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello sarò guarita”.

La sua fede è intellettuale. Aveva “molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando”. Aveva provato tutti i mezzi del mondo e li aveva trovati vani. Era pronta a credere, anche solo per processo di eliminazione.

Gesù non le offre alcuna attenzione speciale. Non la guarda. La oltrepassa. Ma la fede intellettuale della donna è reale. Va verso di lui e rifiuta di farlo allontanare. Lui si ferma. Si volta. Funziona. Lei scopre che è reale, e che il suo contatto con lui – il suo contatto intenzionale e insistente – è reale. Lui si ferma e la vede – la incontra e la cambia.

Il che mi conduce a una terza strategia: non accettare una conversazione irreale.

Nel tuo post dici di aver sentito un consiglio dagli amici – “Agisci come se Gesù fosse il tuo migliore amico. Come parleresti al tuo migliore amico?” – e che il tuo problema è: “Riesco a vedere davvero il mio migliore amico, e lui può parlarmi. Non sto solo gridando nel vuoto”.

Buon istinto. Fare un soliloquio rivolgendosi a un migliore amico immaginario non è preghiera. È deludere se stessi.

Vorrei però suggerirti che la preghiera può essere più reale della tua discussione con il tuo migliore amico – e che è la tua discussione con il tuo migliore amico che è come gridare nel vuoto.

Ti stai specializzando in Inglese. Hai mai letto – o guardato – Our Town di Thornton Wilder?

Ricordi dopo la morte di Emily come, contro tutti i consigli degli altri morti, lei volesse tornare per rivivere un momento felice? Sceglie la mattina di un compleanno dell’infanzia che ricordava come uno dei momenti più felici della sua vita.

Quando lo rivive, però, prova orrore. Salta fuori che i suoi genitori le avevano sì e no prestato attenzione. La felicità di quel ricordo era stata dovuta solo al suo entusiasmo di quel giorno. Si preoccupava del suo compleanno, ma i genitori no.

“Oh, mamma, guardami solo un minuto come se mi vedessi davvero!”, supplica. “Non riesco ad andare avanti. È troppo veloce. Non abbiamo il tempo di guardarci. Non lo avevo capito”.

La comunicazione con gli esseri umani è così. La verità può essere sostituita da letteratura, psicologia o qualunque cosa desideriate. Quella comunicazione cuore a cuore con i tuoi amici che ami tanto è in realtà la breve intersezione di due porzioni di memoria, preoccupazione e distrazione a malapena consapevoli del sottile strato esterno dell’essere momentaneo dell’altra persona.

Ma con Gesù non è così.

Solo qualcuno che è onnisciente può vedervi, prendervi e comunicare con voi come siete davvero. E solo una persona onnipotente può parlare alla vostra anima distratta nei suoi luoghi più profondi.

È questo che fa Gesù. Non mi credi? Provati. Aspetta – non limitarti a provarci: insisti. Buttati su di lui.

Dì a Gesù: “Non osare superarmi! Non mi importa cosa devi fare di tanto importante. Mi hai promesso un rapporto. Eccomi”.

O, se questo non funziona, usa quelle preghiere dei Vangeli a cui sai che risponde. Digli: “Anche i cani mangiano le briciole della tavola del loro padrone!”

Grida: “Salvaci, o moriremo! Non ti importa che stiamo affondando?”

Digli: “Credo. Aiuta la mia incredulità”.

Fidati di me. Risponderà. E ci vorrà una vita intera per ascoltarlo.

_____

Tom Hoopesè writer in residence presso il Benedictine College di Atchison (Kansas, Stati Uniti), e autore del libro di imminente uscita What pope Francis really said.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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