Ci si può sentire a casa anche a migliaia di chilometri di distanza dal proprio tetto. Anche in una baraonda da 2 milioni di persone: è il miracolo della Gmg, aggregare popoli interi e prendersi cura di ogni ragazzo. Il merito è dei 25mila volontari dell’organizzazione locale e di migliaia di accompagnatori: religiosi e animatori laici, adulti giovani dentro che hanno sacrificato le vacanze per il raduno. Ma questo succede sempre: in tutte le edizioni. Se nella XXXI, però, c’è un calore speciale, è merito della gente polacca: a Cracovia più di metà dei pellegrini sono stati accolti dalle famiglie, secondo una formula già sperimentata ma mai con questo successo.
A qualcuno può essere capitato, ma non era la regola: alla Gmg, di solito, si dorme in scuole, palestre, oratori, chiese, conventi. Materassino e sacco a pelo, la doccia come in campeggio, la fila per lavarsi i denti. Lo spirito di gruppo. Quest’anno invece si è puntato sull’integrazione: c’erano necessità logistiche e poi quell’appello di papa Francesco. «Costruite ponti».
Due milioni di persone da 187 paesi, in una nazione di 40 milioni di abitanti, con una presenza straniera di qualche punto percentuale, sono una rivoluzione. Che i polacchi si sono portati in casa: migliaia di famiglie hanno aperto le loro porte, hanno abbracciato la gioventù del Papa e dato una lezione all’Europa. Si può stare insieme.
Anche senza conoscere l’inglese. «Parliamo a gesti, la signora che ci ospita, in un paesino di periferia, sa solo il polacco», racconta Alida, 21 anni, dal Messico. Con altre due amiche dorme da un’anziana di 80 anni. «Ci regala il cioccolato, qualche soldo, ci prepara da mangiare quando arriviamo, dopo mezzanotte». I ragazzi escono al mattino presto e rientrano a notte fonda: i trasporti sono il tallone d’Achille di Cracovia (ma l’impressione è che spostare questa folla sia davvero complesso), i tempi di percorrenza sono più che doppi rispetto alla norma. La nonna che ospita le messicane le aspetta in piedi per la cena. «Proviamo ad aiutarla, a sparecchiare, non ci lascia fare niente: questa gente dà senza volere nulla indietro». David e Daniel, compatrioti di Monterrey, insieme a due compagni, sono da una coppia di genitori con due figlie. Quanto spazio serve per ospitare quattro ventenni? «Non è un appartamento grande, non sono poveri ma certo nemmeno ricchi. Classe media. Ci hanno lasciato i loro letti e dormono sul divano. Sono generosissimi, fanno un sacco di sacrifici per noi».
I torinesi sono stati in due tipi di famiglie. A Cracovia, dalla borghesia cittadina. E a Sosnowiec, per il gemellaggio, nei villaggi di campagna. «Molti hanno abitato nei vecchi blocchi sovietici», spiega il console onorario di Polonia a Torino, Ulrico Leiss, che da quarant’anni conosce il paese e ha guidato la comitiva insieme ai sacerdoti della pastorale giovanile. «È stata un’esperienza molto formativa, hanno visto come si viveva con l’Urss. E hanno scoperto che questo popolo non è chiuso: è vero, non c’è immigrazione dal Mediterranneo, ma ci sono 900mila profughi ucraini. E un rispetto sacro per gli ospiti: fa parte della loro tradizione».
«Ci davano sempre da mangiare, ci cucinavano i piatti tipici. È il loro modo di accogliere», spiegano i gruppi di Avigliana e Sommariva, della diocesi torinese. La stessa impressione di Andrea, 19 anni, slovacca: «Stiamo fuori tutto il giorno ma a colazione ci preparano pure la merenda da portare con noi». Le storie si ripetono: i nonni ospitano i pellegrini, i nipoti li aiutano con l’inglese. Nascono legami che resisteranno alla Gmg. «Ci siamo scambiati i numeri di telefono e l’amicizia su Facebook – esulta Chiara Vettori, 16 anni – e li abbiamo già invitati a Torino. Li aspettiamo per Natale». Un bel regalo.