Da una parte all’altra del mondo nelle comunità ebraiche appare unanime la soddisfazione per la visita compiuta oggi da papa Francesco ad Auschwitz e – in particolare – per la sua scelta di sostare in silenzio nel luogo considerato il cuore della Shoah, già salutata con favore nei giorni scorsi dalla presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni. «Sobrietà» è la parola chiave che rimbalza sui siti di informazione in Israele nelle cronache dedicate alla mattinata di Bergoglio ad Auschwitz, insieme a grandi immagini del Papa raccolto in preghiera.
Ronald Lauder, il presidente del World Jewish Congress, definisce l’evento di oggi «un segnale forte contro l’odio». «Non pronunciare un discorso durante la visita – scrive in una nota rilanciata in Italia da Moked, il portale dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane – si è rivelata una scelta opportuna, così come pregare in silenzio insieme a chi oggi con lui, in quei luoghi, rendeva omaggio alla memoria degli uomini, delle donne e dei bambini uccisi nel campo. Auschwitz è un monito permanente di ciò che può accadere quando si consente all’odio di ingigantirsi, quando il mondo rimane in silenzio di fronte al male e guarda dall’altra parte i crimini indicibili che vengono commessi nelle vicinanze».
Lauder definisce anche papa Francesco «uno dei più stretti alleati che gli ebrei hanno oggi nella lotta contro l’antisemitismo, il fanatismo e l’odio. Mai nel corso degli ultimi duemila anni le relazioni tra di noi sono state così strette. Ringraziamo il papa per essere andato ad Auschwitz. La sua visita invia un segnale importante al mondo perché questo capitolo buio della storia non sia mai dimenticato e la verità su quello che è successo non sia offuscata».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche rav David Rosen, il direttore per gli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee e protagonista di tante iniziative di dialogo con il Vaticano. «Questa vista – ha dichiarato al Jerusalem Post – è stato un importante pro-memoria per il mondo su quanto profonda possa essere la mancanza di umanità e su come la storia ebraica testimoni questo fatto in una maniera unica».
Anche Rosen sottolinea la scelta del silenzio compiuta da papa Francesco: «Le uniche parole pubbliche risonate sono state il salmo 130 e il Kaddish, evidenziando il significato propriamente ebraico di questo luogo». «Nella tradizione ebraica – ha aggiunto ancora – una cosa che si ripete tre volte è una chazakah (una consuetudine che acquisice un valore legale, ndr). Adesso sono ben tre i Papi che hanno visitato Auschwitz e credo che da ora in poi diventerà un passaggio obbligato in ogni itinerario papale». «Soprattutto – conclude Rosen – la preghiera silenziosa è stata un’espressione eloquente di come dove le parole falliscono di fronte a simili eventi, il silenzio parla in maniera ancora più potente».
Anche Arutz Sheva, il sito di informazione più vicino al mondo dell’ebraismo religioso in Israele, racconta con dovizia di particolari la tappa di papa Francesco ad Auschwitz. E sulla scelta del silenzio rilancia una riflessione proposta alla vigilia della visita dal rabbino capo di Polonia Michael Schundrich. «Spesso la gente va ad Auschwitz e poi tiene in silenzio questi orrori per il resto della propria vita. Invece è una volta che si lascia Birkenau che occorre impegnare il resto della propria vita a gridare e lottare contro ogni genere di ingiustizia».