Nei giorni del primo sacerdote martirizzato in Europa da auto-eletti jihadisti, lo sguardo e il pensiero di molti guarda al Medio Oriente, alle terre dove da decenni i cristiani di antiche Chiese millenarie patiscono i contraccolpi della patologia islamista. Il Patriarca caldeo Louis Raphael, I, Primate della Chiesa più ferita dalle convulsioni mediorientali degli ultimi lustri, invita i cristiani d’Oriente e d’Occidente a non liquidare tutto in una gara a chi assume pose più indignate.
Da Patriarca di una Chiesa d’Oriente, come guarda al barbaro sgozzamento di padre Hamel?
«E’ un’orribile umiliazione per l’umanità intera, non solo per i cristiani. Non trova nessuna giustificazione plausibile, è il sintomo di un delirio globalizzato che ormai non ha più nemmeno bisogno di organizzare troppo le sue strategie. Ci sono fasce intere di popolazione psicolabile, giovani carichi di un rancore muto, che si arruolano nelle agenzie del terrore attraverso canali e dinamismi misteriosi. Loro hanno perso la loro lotta per il controllo del territorio, provano a vincere quella sul terreno ideologico».
C’è chi soffia sul fuoco, e ne approfitta per alimentare risentimento contro gli immigrati o l’islam, in maniera indistinta.
«Riguardo all’immigrazione, avevo suggerito da tempo di seguire con attenzione i flussi di chi giungeva in Europa, per evitare che i jihadisti si infiltrassero nelle moltitudini che arrivano, pronti poi a colpire. Un lavoro che chiamava in causa soprattutto le reti dell’intelligence, e non è stato fatto troppo bene. Ma alcuni dei nuovi terroristi sono ragazzi cresciuti in Europa. E allora, il problema che evidenziano questi casi è una mancata politica di integrazione. Problemi e processi trascurati da decenni. Anche tanti cristiani d’Oriente, soprattutto giovani, si trovano confusi e cadono in processi di straniamento quando si trasferiscono in Occidente. Diventano sradicati, crescono in una situazione di vuoto. Partono da un contesto segnato da un forte spirito comunitario, e approdano nel regno dell’individualismo, della competizione che emargina chi non riesce a prevalere. Anche le Chiese devono trovare degli approcci pastorali adeguati per queste situazioni».
Cosa mostra, a tutta la Chiesa, la vicenda di padre Jacques?
«In padre Jacques, sgozzato davanti all’altare dove celebrava l’eucaristia, si vede in maniera eclatante la piena configurazione a Cristo. Come accadde a tanti martiri della Chiesa, all’arcivescovo Romero e anche ai due preti uccisi nel 2010 nella chiesa di Baghdad, durante la messa, da un assalto quaidista. Il loro sangue si è mescolato con il sangue di Cristo».
Cosa succede, se si strumentalizzano vicende così per affermare posizioni riguardo alle politiche d’immigrazione o per criminalizzare l’islam?
«Chi fa questa scelta, profana il martirio cristiano. Ridurre tutto a appelli e iniziative per fomentare l’indignazione mi sembra una blasfemia sacrilega, davanti al martirio di padre Jacques e di tutti gli altri. Questi rinnegano e oltraggiano padre Jacques più di quanto fanno gli ispiratori dei loro carnefici».
In che senso?
«La vittoria del martirio, come quella ricevuta da padre Jacques, non conosce tramonto. E’ la vittoria stessa di Cristo, che vince nella fragilità di poveri uomini deboli e inermi, come era l’anziano prete francese. Resi forti e senza paura non per sforzo proprio o capacità propria, ma perchè lo Spirito li rende forti, per vivere e riattualizzare nella loro carne la stessa passione redentrice di Cristo».
Ci sono quelli che dicono: adesso anche in Occidente sanno cosa è il martirio…
«Tutta la storia della Chiesa, dovunque e in ogni tempo, è intessuta con il filo rosso del sangue dei martiri. Quello che accade oggi, con i martiri di Francia che si uniscono ai martiri dell’Iraq, della Siria e ai copti trucidati in Libia, è solo un segno grande di cosa nutre la comunione nella Chiesa di Cristo».
E noi? Cosa possiamo fare? Mettere qualche messaggio su facebook?
«Padre Jacques e gli altri sono un segno che chiama tutti alla conversione. Tutti i cristiani, ma anche i musulmani, e tutti gli altri. E per i cristiani, è un richiamo a non aver paura di confessare apertamente la propria fede. Nessuno si deve nascondere. Nessuno deve temere di “disturbare” gli altri, se confessa il nome di Cristo.In Iraq, nonostante le difficoltà, per grazia di Dio rimaniamo saldi nella nostra fede».