È senz’altro più complicato che aiutarli a ragionare su un problema o a capire perché per comprendere il presente è tanto importante conoscere il passato. Le domande che affrontiamo noi genitori dopo un attentato sono notevoli, ed è meglio essere preparati e giocarci il tutto per tutto nelle risposte che diamo loro perché in queste situazioni le loro “trappole” lasciano il segno.
Se succede come questa settimana, quando fa quasi paura accendere la radio al mattino, le cose si complicano all’estremo.
In queste tragedie è chiaro chi ha la peggio, ma anche i nostri figli che vedono interrotta la propria routine o le loro vacanze da queste notizie tanto violente sono delle vittime. Vittime di una società sempre più tollerante nei confronti dell’orrore, con storie che finiscono per conoscere e che non sempre sanno inserire nella loro logica e nella loro psicologia.
Gli esperti affermano che la cosa più importante è che la paura (emozione necessaria per gestire la nostra esposizione al pericolo) non diventi panico e che noi genitori riusciamo a trasmettere fiducia. Anche se in alcuni momenti gradirei da parte degli “esperti” un po’ più di concretezza su come mettere in pratica tutto questo, in fondo so che ogni genitore deve trovare il suo modo particolare di arrivare al cuore del proprio figlio, che come ogni persona racchiude una parte di mistero.
Nel caso in cui possano essere utili a qualcuno, riassumo qualcuno degli orientamenti che danno gli psicologi al momento di parlare di questo tema con i nostri figli:
- Se teniamo conto delle età, è sconsigliato che i minori di 7 anni accedano alle immagini degli attentati. Un’altra opzione è spiegare la situazione come se fosse un racconto, in chiave di buoni e cattivi, visto che a quell’età è tutto bianco o nero.
- A partire dai dieci anni dovremo cercare spiegazioni un po’ più complesse, visto che a quell’età la mente è ancora infantile ma richiede più dati. Possiamo, ad esempio, essere più espliciti sul modo di combattere il terrorismo.
- Nel caso degli adolescenti, oltre a evitare il panico e le ossessioni conviene evitare l’ira, assai caratteristica di quell’età.
La mia esperienza come madre mi dice che è estremamente complicato trasmettere fiducia o fede nel fatto che tutto andrà bene a un bambino spaventato da un attentato. Le ragioni sono un “cerotto” temporale, perché parliamo di emozioni, e su questo non si lavora solo mettendo sul tavolo una manciata di buone argomentazioni.
Mostrare loro le telecamere di sicurezza della zona in cui viviamo o parlare con un poliziotto amico perché ci racconti come lavora sazia la sua curiosità, ma non calma il suo cuore. Forse tranquillizza noi?
Quello che succede è che purtroppo “ci abbiamo fatto il callo” e abbiamo il cuore indurito. Per fortuna loro no. Per questo, in questi casi la cosa migliore è abbracciarci stretti senza tralasciare le spiegazioni.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]
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