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Quindi, il cristiano o è potenzialmente un martire o non è?

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don Fabio Bartoli - La Fontana del Villaggio - pubblicato il 27/07/16

Esattamente 50 anni fa H.U. Von Balthasar pubblicava questo durissimo pamphlet contro il cosiddetto Cristianesimo anonimo. In esso spiega con molta chiarezza che un Cristianesimo incapace di martirio è un Cristianesimo che ha rinunciato alla sua identità, ormai culturalmente dissolto e del tutto irrilevante.

Nel 1966 le sue parole sembrarono poco più di una audace provocazione: parlare di martirio nell’Europa sazia e soddisfatta di allora parve ai più uno stravagante anacronismo o, appunto, una provocazione nata dal gusto per la polemica. I fatti recenti ci costringono invece a confrontarci di nuovo con la sua tesi.

Tre domande sorgono spontanee:

1) è proprio vero, come dice il teologo svizzero, che il cristiano o è potenzialmente un martire o non è? Non è questa una pretesa troppo alta, disumana, tale da schiantare la fede dei più? Non ha forse ragione Elrond quando in una pagina mirabile del Signore degli Anelli ammonisce l’entusiasta Gimli che voleva morire nella guerra contro l’oscuro signore con queste parole: “chi non ha mai visto il calare delle tenebre non giuri di inoltrarsi nella notte”? Non è presunzione, fanatismo, in fondo una forma di fariseismo, desiderare il martirio?

2) Non è forse vero che il Signore ci ha chiesto di scioglierci come lievito nel mondo? E allora dobbiamo stare ancora a preoccuparci di un’identità cristiana? Non è anche questo un modo per innalzare barriere e steccati, dove invece il mandato cristiano sarebbe quello di un’apertura incondizionata? Non è un modo sottile e ipocrita di chiamare ad una guerra santa, fatta non con le armi, ma con l’orgogliosa affermazione di sé? Non è una forma di vanità, sottile se si vuole, ma non certo innocente? Non c’è un rischio di trionfalismo in questa esaltazione dei martiri?

3) Quando ad essere in questione non è più soltanto la sicurezza personale, ma il bene comune, la difesa del prossimo, non esiste un diritto alla legittima difesa? E quand’anche sul piatto ci fosse solo la mia vita, come posso morire sereno quando so che da me dipendono tante persone? E in fondo nella stessa storia della Chiesa non ci sono state guerre giuste, motivate appunto dalla necessità di difendere le cose sante? Cosa avremmo dovuto fare a Vienna nel 1529, spalancare le porte della città? E a Lepanto? E la reconquista spagnola? E la lunga guerra per mettere in sicurezza il santo Sepolcro e i pellegrinaggi a Gerusalemme, che molti chiamano impropriamente crociata?

Non oso neppure immaginare di sostituirmi ad una delle menti più brillanti del XX secolo e vi rimando alla lettura di questo aureo libretto, per nulla invecchiato, anzi, diventato improvvisamente quasi profetico.

Però voglio ugualmente mettere sul piatto i miei due cent e cercare di rispondere a queste tre domande per mio conto.

1. Il cristiano o è potenzialmente un martire o non è

Essere cristiani significa seguire Cristo crocefisso. Non c’è modo di declinare in modo diverso la vita cristiana. Questo implica la decisione di amare oltre ogni misura, e l’amore, per sua natura, domanda la dimenticanza di sé e la disponibilità a morire. Questo è il punto di partenza: un amore che non prevede nel suo orizzonte l’essere pronti alla morte non è amore. Come diceva Martin Luther King: “un uomo che non ha mai avuto qualcosa per cui morire non ha vissuto mai”.

Il nostro tempo è pronto ad ammirare chi muore martire per una buona causa sociale, per lottare contro la criminalità organizzata o i cartelli della droga, lottando a fianco dei poveri e dei disperati, ma l’idea di morire per una fede sembra inverosimile a questo mondo sazio e soddisfatto.

È assai interessante il fatto che tutti i terroristi responsabili dei recenti fatti di sangue in Europa sono stati immediatamente bollati come malati di mente; da un certo punto di vista indubbiamente lo sono, sono come McJan e Turnbull, i due protagonisti del memorabile romanzo di GKC “la sfera e la croce”, che vengono rinchiusi in manicomio proprio perché vogliono battersi per la loro fede. L’incapacità di comprendere la profondità del fatto religioso, quanto esso determini l’uomo e lo spinga nelle sue azioni, giuste o sbagliate che siano, è una delle più costanti caratteristiche del mondo moderno.

Ma il martire cristiano non muore per un’idea, né per una religione, non per difendere degli ideali o delle astrazioni, ma per amore, perché messo di fronte all’alternativa se vivere o separarsi da Cristo considera intollerabile una vita senza Gesù, tanto intollerabile da preferire la morte. Come i martiri di Abitene che, uccisi per aver celebrato, contro il divieto imperiale l’Eucaristia, rispondono serenamente al magistrato “sine Dominica non possumus” e la bellezza di questa frase è tutta nell’assoluto indeterminato di quel “non possumus”. Senza Gesù non possiamo, non possiamo vivere, non possiamo respirare, non possiamo neppure essere.

Fa paura il martirio? Certo che fa paura, e tanta. Pare che perfino la celebrazione della S. Messa sia diventata un’attività a rischio oggi, ma anche io, come i martiri di Abitene, senza Messa non possum. E allora non permetto alla paura di vincere. Non me ne faccio un vanto o un orgoglio, non cerco il martirio, semplicemente continuo a fare il mio dovere come sempre, sperando di essere trovato pronto quando sarà il momento. Vale la stessa cosa per l’annuncio del Vangelo: accada quel che accada, io non posso smettere di testimoniare ciò che ho visto e vissuto, proprio per amore di Colui che mi ha incontrato. E se qualcuno si sentirà provocato dalla mia testimonianza tanto da togliermi la vita pazienza, non mi fa piacere, ma ci sono cose più importanti del campare.

2. L’esaltazione dei martiri

Foscolo cantava “a egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti”. Mentre tutto intorno a noi serpeggia la paura l’esaltazione del coraggio di chi ha saputo amare fino in fondo può dare speranza, far comprendere che vale la pena di lottare. Non c’è trionfalismo in questo, al contrario, è lo stringersi della Chiesa attorno all’agnello immolato e ritto in piedi sul monte Sion descritto nel libro dell’Apocalisse (Ap 14,1).

D’altra parte negare che l’essere cristiani ci espone alla persecuzione oggi significa negare l’evidenza, e dunque quale trionfalismo potrebbe esserci in questo? Si tratta semplicemente di prendere atto di ciò che siamo: carne da macello, consegnata dal mondo ai suoi carnefici, eppure non importa, perché come sempre accade da questo sacrificio scaturisce un bene più grande, il martirio è sempre la testimonianza più efficace. Sono rimasto molto colpito dal tweet di uno dei più noti columnist del wall Street Journal, di fede musulmana, che, proprio in conseguenza del martirio di padre Jacques, annuncia la sua conversione al cattolicesimo, certo, è una conversione preparata da tanto tempo, ma il martirio del prete francese gli ha dato il coraggio di uscire allo scoperto! Come ai tempi di Tertulliano il sangue dei martiri è seme di cristiani.

Proprio questo è il segno più evidente che l’Islam ha già perso, a dispetto delle apparenze. Maometto stesso nel Corano scrive che “non può esserci costrizione nella religione”, eppure oggi milioni di persone sono costrette a rimanere nella loro fede dalla paura di rappresaglie. Pochi giorni fa ho amministrato in segreto il battesimo ad una famiglia musulmana, in segreto perché temevano per la loro vita e per quella dei loro parenti in patria. Questo è indubbiamente un segno di grande debolezza e paura. La forza e la calma dei martiri anche in questo caso è stata la molla che ha spinto questa famiglia ad avvicinarsi a Cristo e credo che non si potrà ancora per molto tenere sotto la schiavitù della paura questo popolo, buono, mite e silenzioso che invoca solo pace e giustizia.

3. Esiste un diritto a difendersi?

Certo che sì. A parte il fatto che lo stesso catechismo della Chiesa Cattolica lo riconosce e definisce con molta chiarezza, bisogna anche dire che se è vero il dogma di Calcedonia allora carne e spirito non possono essere separati, dunque pensare di difendere lo spirito senza difendere anche la carne è una pia illusione da anime belle, del tutto irrealistica. La Chiesa non è un ideale astratto, necessariamente ha una carne, fatta di strutture, di spazi, chiese, ospedali, scuole, eccetera. illudersi di avere la Chiesa senza queste strutture è fantasia ideologica.

È bensì vero che queste strutture sono forse sovradimensionate, che la Chiesa ha per così dire “troppa carne” e un po’ di digiuno non le farebbe male, ma da qui a dire che possa esistere una Chiesa senza strutture ce ne corre. È dunque sano e legittimo difendere le strutture temporali della Chiesa, proprio perché è in questione la sua stessa sopravvivenza.

E poi questa nostra civiltà europea, con tutte le sue luci ed ombre, è pur sempre una civiltà cristiana. Non oso neppure immaginare cosa sarebbe oggi il mondo senza l’Europa, né cosa sarà se l’Europa fosse spazzata via.

Ma naturalmente la difesa per essere legittima deve sottostare a regole precise.

Innanzitutto deve essere proporzionata all’offesa. Se pure fosse vero come a volte si dice che “anche se non tutti i musulmani sono terroristi, tutti i terroristi sono però musulmani” rimarrebbe comunque una percentuale risibile. I musulmani nel mondo sono circa un miliardo, i terroristi, anche ad arrotondare per eccesso, quanti saranno? Vogliamo dire centomila? È un esagerazione, credo che siano molti di meno, ma anche se fossero tanti farebbe comunque uno su centomila musulmani, non posso coinvolgere un popolo intero nel giudizio sulla sua centomillesima parte!

Poi non può essere mossa dall’odio e men che meno dal desiderio di vendetta. Come dice GKC il soldato cristiano non combatte contro il nemico che ha di fronte, ma per difendere ciò che ha alle spalle, la sua famiglia, la sua cultura, la sua vita, non è quindi mosso dall’odio, ma dall’amore. Amore anche per il malvagio, certamente, poiché il fine dell’azione non è distruggerlo, ma metterlo in condizione di non nuocere, innanzitutto per amore suo, perché impedendogli di fare il male salvo la sua anima.

Va fatta con un vero sacrificio personale, non da una tastiera. I soldati che partivano per difendere il santo Sepolcro e il diritto ai pellegrinaggi sapevano di andare a combattere una guerra già perduta. A quel tempo la superpotenza era l’impero turco e l’Europa era povera economicamente, strategicamente e militarmente, se i paesi musulmani non fossero stati divisi e presi di sorpresa la prima conquista di Gerusalemme sarebbe stata impossibile e la sola idea di poterla riprendere dopo la sua caduta pura follia. Eppure andavano lo stesso, facevano testamento e andavano, perché era in gioco qualcosa di ben più grande delle ricchezze e delle fortune personali.

Accanto a questo bisogna anche notare che la predicazione disarmata di S. Francesco ha fatto molto di più per difendere i luoghi santi e garantire la sicurezza dei pellegrinaggi di tutte le crociate.

È venuto fuori un articolo molto lungo, spero che abbiate avuto la pazienza di leggermi fin qui, ma mi sembrava anche necessario.

Ad maiora

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