Non ci possono credere, sbigottiti dal loro dolore. Spaventati da tutti questi giornalisti e poliziotti che in poche ore hanno invaso le stradine del centro di Saint-Etienne-du-Rouvray, Maria e Sebastiano Velardita se ne stanno stretti l’uno all’altra nella piazza davanti al municipio. Hanno 78 e 84 anni, da una vita immigrati del Sud Italia in questo lembo del Nord della Francia, prospero e laborioso.
Lo vedevano ogni giorno padre Jacques Hamel, sgozzato ieri sull’altare della sua parrocchia. Perché Sebastiano e Maria, una volta andati in pensione, erano diventati sacrestani di quella chiesa di pietra. Maria spiega quello che fanno ogni giorno, poi si corregge: «Non facciamo, aiutiamo». Aiutavano anche padre Jacques, che «era solitario, timido, ma sempre attento agli altri. Un prete all’antica: per questo ci capivamo al volo. Una persona magnifica». Sebastiano e Maria non piangono. A padre Jacques non sarebbe piaciuto.
Nato 86 anni fa a Dornétel, una manciata di chilometri da qui, era stato ordinato prete nel 1958. «Aveva superato abbondantemente l’età in cui i sacerdoti vanno in pensione – ricorda Alexandre Joly, parroco a Saint-Paul de Quevily, qui vicino –. Noi gli dicevamo di lasciare, ma non ci ascoltava da quell’orecchio. Voleva fare il prete fino alla fine. Per lui era davvero una missione». Da una decina d’anni era approdato a Saint-Etienne-du-Rouvray, come sacerdote ausiliario. Sostituiva il parroco per la messa, quando era assente, come ieri. Lo aiutava. Viveva dietro nel presbiterio, nell’umiltà più assoluta. «Non era uno che si metteva in avanti, ma io mi accorsi a un certo momento che, quando era necessario, padre Jacques c’era, eccome – ricorda Nicole Monoux, 76 anni, pensionata –. Mi morì una zia, alla quale ero rimasta solo io. Me ne ero occupata fino alla fine. Lui mi ha sostenuto. Al funerale fece un bel discorso. Umano, toccante».
Da un certo punto di vista, forse, era anche prete di frontiera, perché Saint-Etienne-du-Rouvray è ancora oggi un bastione comunista. «Di gente in chiesa ce ne va davvero poca – aggiunge Nicole –. Ma qui in realtà lo rispettavano tutti. Era una persona vera».
«Ha dato la sua vita agli altri. L’ha sacrificata per la sua religione. È un martire», afferma Mohammed Karabila, presidente del Consiglio regionale del culto musulmano dell’Alta Normandia, da cui dipende la principale moschea di Saint-Etienne. «Da diciotto mesi ci incontravamo in un comitato interconfessionale locale. Discutevamo di religione, di convivenza pacifica. Mi mancherà padre Jacques». Anche a Maria e Sebastiano mancherà tanto. «Abbiamo lavorato una vita, mio marito prima come muratore e poi a vendere frutta e verdura nei mercati – racconta la donna –. Io avevo un negozio. Di domenica per anni e anni non abbiamo mai potuto andare alla messa. Poi, una volta smesso di lavorare, abbiamo deciso finalmente di dedicarci alla parrocchia». «Me lo chiese proprio padre Jacques, un giorno: mi vuole aiutare? – ricorda Sebastiano –. Io gli dissi che non ero da solo: o con Maria o niente». Una coppia di sacrestani: figuriamoci se per lui fosse un problema. «Ogni tanto glielo dicevamo – continua Sebastiano –: si riposi, padre. Ma lui diceva: sarò prete fino alla morte».
Nell’ultimo bollettino inviato ai parrocchiani, in giugno, aveva scritto una lettera. Ecco alcune delle sue parole: «Speriamo di poter ascoltare l’invito del Signore a prendere cura di questo mondo e farne lì, dove viviamo, uno più caloroso, fraterno, umano». Poi accennava a una primavera davvero troppo fresca e bizzosa in questa parte della Francia, «ma non preoccupatevi, l’estate alla fine arriverà. E arriveranno anche le vacanze. Queste ci permetteranno di fare il pieno di amicizia e di rigenerare le nostre forze. Solo così potremo riprendere la strada insieme. Buone vacanze da padre Jacques».