Preparano da sole una cena di quattro portate per gli amici e hanno risorse per trascorrere le vacanze in un appartamento sulla riva dell’oceano.
Voi, invece, siete arrivate di nuovo tardi al lavoro perché non vi siete svegliate in tempo, non avete finito il progetto, avete discusso con vostro marito e a casa vostra sembra che sia passato un uragano.
Questa situazione ha due vie d’uscita: ci si può prendere un caffè, rilassandosi dopo la lunga giornata e pensare che dopo tutto non succede niente, oppure lasciarsi attanagliare dal senso di colpa.
Cosa scegliamo in genere? La seconda opzione. Siamo molto cattive. Non siamo abbastanza belle, né intraprendenti, né organizzate, né lavoratrici.
Diventiamo un coacervo di frustrazione e delusione nei confronti di noi stesse e della nostra vita. Quella donna di successo che appare sulla copertina di una rivista ci rimprovera? No, siamo noi stesse a farci del male.
Siate gentili con voi stesse
A volte, l’unico e il nostro peggior nemico siamo noi stesse. Ci arrendiamo alla pressione del perfezionismo.
Non appena apro gli occhi al mattino, mi sposto sulla modalità “Devo…”: devo fare foto per il blog, devo scrivere un testo, devo pianificare la mia vita per i prossimi anni e aprire il prima possibile un’attività propria. Se non lo faccio crollerà il mondo.
Sono sempre in preda al rimorso, perché ancora una volta ho sbagliato, non ho dato il meglio di me. Come se quello che faccio o che non faccio fosse l’unica cosa che dimostra il mio valore.
E allora non mi godo le piccole cose come una conversazione con il mio fidanzato mentre prendiamo il caffè il pomeriggio, una rilassante passeggiata lungo le rive del fiume Vistola o la visita della città.
Il senso di colpa in genere è molto forte. Quanto spesso cadiamo in questa trappola! Conosco però una ricetta per le nostre aspettative esagerate.
Da qualche tempo, non appena inizio a esercitare una pressione poco salutare su me stessa mi dico “Magda, basta”. Credetemi, funziona! Da dove mi è venuto? Ho letto poco tempo fa un testo del professor Victor Osiatyński: