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12 storie di ordinaria santità

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Pixabay.com/Public Domain/ © Pezibear

Silvia Lucchetti - Aleteia - pubblicato il 21/07/16

Percorsi di misericordia, fede e umanità
«Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato».

Sono le parole della Misericordiae Vultus di papa Francesco e di misericordia – quella via che unisce Dio e l’uomo –  parla il libro di Chiara Bertoglio: “I colori della misericordia. Dodici storie di amore vero” (Effatà Editrice) nel quale sono raccolte altrettante testimonianze di fede, umanità e… misericordia.

LA MISERICORDIA HA DENTRO IL “CUORE”

Nell’introduzione l’autrice racconta la genesi del libro e ripercorre alcune tappe significative della sua storia personale chiarendo – alla luce della propria esperienza – il significato della parola “misericordia”:

“«Una cosa è la povertà. Un’altra è la miseria». È un concetto relativamente semplice, ma io non ci avevo mai pensato. E la distinzione mi è rimasta sempre nel cuore. Altrettanto semplice, concettualmente, è il legame etimologico fra miseria e misericordia; ma è un legame così ricco che non basterebbero molte pagine a svilupparlo. Misericordia ha dentro di sé il «commiserare» (com-patire, patire-con), ha il «cuore» che è l’agente del «patire-con», ha la pietà che è a sua volta compassione e pietas, la bontà profonda che è anche riconoscimento della trascendenza. Solo chi sa mettersi in ginocchio (…) sa vedere la «miseria» degli altri, economica, morale, psicologica, relazionale. Solo chi sa di essere misero ha il cuore di misericordia. E solo chi sa aprire il proprio cuore può trasformare la miseria, propria e altrui, nella fioritura della misericordia”.


MARIA CRISTINA CELLA MOCELLIN E L’AMORE MISERICORDIOSO DI DIO

“(…)ventisei anni vissuti con l’acceleratore sempre premuto, ricchi di esperienze umane e spirituali che renderebbero densissima anche una vita molto più lunga. Un’esistenza in cui l’intersecarsi di una normalità quasi scontata e di un esito umanamente inspiegabile portano ad interrogarsi, fino a scoprire nell’intima assiduità con Dio le ragioni che rendono non solo coerenti, ma consequenziali e stringenti, le scelte di Maria Cristina. Perché anche la sua scelta estrema, davanti alla quale la ragione umana si interroga e forse anche si ribella, smette di essere un eroismo inarrivabile, e diventa a sua volta «normalità» se la si inserisce in una vita vissuta a braccetto con Dio. (…)Un Dio che sembra chiederle la donazione totale di sé nella consacrazione religiosa. (…)Un Dio che le scombina le carte in tavola, facendole incontrare poco dopo un ragazzo veneto, Carlo(…)”. “(…)Nel quotidiano di una giovanissima coppia di fidanzati irrompe tuttavia un primo grande mistero: durante l’ultimo anno della scuola superiore, a Cristina viene diagnosticato un tumore. L’esperienza della malattia, vissuta con coraggio e con amore dalla ragazza, serve anche a cementare l’unione con Carlo (…)Operazioni, cure e terapie salvano Cristina (…) E giunge anche l’attesissimo momento delle nozze (…)Nell’arco di poco più di tre anni nascono, a ranghi serrati, Francesco, Lucia, e Riccardo. Ed è in quest’ultima gravidanza che Cristina si trova davanti al mistero più grande. Si riaffaccia la malattia, quell’osteosarcoma che sembrava debellato con successo. Cristina non ha dubbi: (…)Riccardo ha un diritto ancora più grande: quello di vivere. Così Cristina accetta tutte le cure che non danneggeranno il piccolo in arrivo, ma rimanda le altre a dopo la nascita. Purtroppo, per sconfiggere la malattia è troppo tardi. Ma non per essere mamma e moglie al cento per cento, e per sempre”.

Queste le parole del marito che attraverso la malattia e la morte della propria sposa ha incontrato Cristo e ha fatto esperienza della sua infinita misericordia:

“(…)«Quando è arrivato il momento di lasciarci, in ospedale, non è stata presa dalla disperazione. Le sofferenze umane erano terribili. Ma non ha mai perso il sorriso e la serenità. (…)aveva gli occhi puntati sul crocifisso che le avevo messo davanti. Lei sapeva, sentiva nel suo cuore, aveva talmente desiderato Gesù da capire che in quel momento lo stava raggiungendo totalmente. Che si è spenta senza respiro ma con il sorriso sulle labbra. Io credo che in quel momento la Madonna sia venuta a prendersela»”.

CONOSCERE IL VERO VOLTO DI DIO ATTRAVERSO UNA FIGLIA… “BENEDETTA”

“(…)il giorno della nascita di Sara Benedetta, la figlia numero cinque, è diverso, spiazzante, anche per un papà che ormai si può definire un habitué delle sale parto. Marco racconta quei momenti: « (…) mentre la pediatra mi diceva che la mia piccola Sara ha la sindrome di Down, è stato come se alle sue parole si sovrapponessero nel mio cuore quelle di Qualcuno che mi diceva: “Caro Marco, qui c’è un grande regalo per voi”». E alla «voce» di Dio, Marco risponde subito: «Beh, Signore, se ci doni una bambina così vuol dire che, almeno un po’, di noi ti fidi». Il racconto di Marco si fa quasi confessione: «Lì, mentre abbracciavo Sara per la prima volta, sono stato io a sentirmi abbracciato come non mai». (…)«Il rischio», ammette Marco, «è annegare nelle ansie per il futuro; e intanto non cogliere ed assaporare quello che l’esperienza concreta ti sta dicendo. (…)Sara ha bisogno delle cure della terapia intensiva, per una malformazione cardiaca congenita; viene intubata, e dovrà essere operata (…)”. “«Il vero dramma», dice Marco, «non è accogliere un figlio Down, ma vivere la malattia di un figlio» (…) L’intervento va bene, ma insorgono complicazioni per cui Sara deve rimanere in terapia intensiva. (…)«Io, in questo reparto, ho capito che dopo anni di preghiera, studio, meditazione biblica e dotte letture, del Dio di Gesù Cristo non ho proprio capito nulla. (…)Il problema non è che si sente Dio lontano o peggio assente: Dio c’è, eccome! Lo si sente ben presente… Il problema è che sperimenti sulla tua pelle cosa significa che le sue vie non sono le nostre. (…)E mentre Sara, guarendo, si avviava a diventare, come dice il papà, «profeta di un sorriso che non sa spegnersi», Marco abbandona il dio astratto delle aride speculazioni e scopre il Dio vivente, «quello raccontato dalla Scrittura, il Dio di Gesù che mai mi aveva lasciato… Il Dio che proprio quando senti imminente il naufragio fisico, emotivo, spirituale, ecco che ti dona una forza nuova, e sai che non è forza tua»”.


Chiara Bertoglio sottolinea nell’introduzione il rischio che si corre leggendo testimonianze simili: spavento e sconcerto davanti a tanta drammaticità e sofferenza o, d’altro canto, idealizzazionedei protagonistipercepiti come modelli irraggiungibili di “eroismo” e “perfezione”. Come invece afferma l’autrice, si tratta di…

“(…)testimonianze di speranza, che vorrebbero annunciare a chi le legge che anche nel buio più profondo può sbocciare la gioia, e che nessuno può dirsi dimenticato, abbandonato, perduto. Nemmeno sono storie di «santini» su piedistallo, anche se molte delle persone di cui parlo sono, per me, veri esempi di santità. Ma i santi veri, quelli reali in carne ed ossa, sono persone con i loro limiti, persone della porta accanto, persone perdonate e baciate dalla misericordia; la loro presenza ci annuncia che la vita felice è possibile, per tutti, in tutte le situazioni, anche e soprattutto nell’umiltà paziente del quotidiano nascosto”.

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