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Lo scapolare marrone è solo un “portafortuna” cattolico?

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Philip Kosloski - Aleteia - pubblicato il 18/07/16
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L’“abito” che indossiamo deve basarsi su un “abito” di preghieraLo scapolare marrone è una sorta di “portafortuna” che i cattolici superstiziosi amano indossare?

A prima vista, le promesse della Beata Vergine a San Simone Stock sembrano confermare i sospetti. Le famose parole della Madonna sono state: “Figlio dilettissimo, prendi questo scapolare del tuo Ordine, segno distintivo della mia Confraternita, privilegio a te e a tutti i Carmelitani. Chi morrà rivestito di questo abito non soffrirà il fuoco eterno; questo è un segno di salute, di salvezza nei pericoli, di alleanza di pace e di patto sempiterno”.

Sulla base di queste parole, tutto ciò che devo fare è indossare lo scapolare marrone per il resto della mia vita e non andrò all’inferno. Bingo! Un biglietto per il Paradiso! Dove posso trovarne uno? Aspettate, ragazzi. Andare in Paradiso non è mai così semplice.

In primo luogo, ricordiamo cosa dovremmo aver imparato nelle lezioni di religione. Lo scapolare marrone è considerato un “sacramentale” nella Chiesa cattolica, e funziona molto diversamente da un portafortuna.

Spiega il Catechismo:

I sacramentali non conferiscono la grazia dello Spirito Santo alla maniera dei sacramenti; però mediante la preghiera della Chiesa preparano a ricevere la grazia e dispongono a cooperare con essa” (1670).

Ciò vuol dire che un sacramentale come lo scapolare marrone può disporci alle grazie che Dio vuole donarci, ma noi dobbiamo rispondere all’invito.

Ecco una storia per illustrare la questione: San Claude de la Colombière raccontò una volta di un uomo che aveva cercato di annegare tre volte. Ogni volta veniva salvato contro la sua volontà. Poi si rese conto che stava ancora indossando lo scapolare marrone sotto i vestiti. Determinato a porre fine alla propria vita, si strappò lo scapolare dal collo ed ebbe successo all’ultimo tentativo. Dio gli diede liberamente le grazie di cui aveva bisogno e anche la possibilità extra di volgersi a Lui, ma l’uomo rimase ostinatamente della sua idea e rifiutò di cooperare. Come risultato, la promessa della Beata Vergine Maria sembrerebbe vera: “Chi morrà rivestito di questo abito non soffrirà il fuoco eterno”.

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San Giovanni Paolo II, membro dell’Ordine Secolare Carmelitano, lodò il fatto di indossare lo scapolare marrone, ma mise in guardia contro l’indossarlo in modo superstizioso. Nel suo messaggio alla comunità carmelitana scrisse infatti:

Due, quindi, sono le verità evocate nel segno dello Scapolare: da una parte, la protezione continua della Vergine Santissima, non solo lungo il cammino della vita, ma anche nel momento del transito verso la pienezza della gloria eterna; dall’altra, la consapevolezza che la devozione verso di Lei non può limitarsi a preghiere ed ossequi in suo onore in alcune circostanze, ma deve costituire un ‘abito’, cioè un indirizzo permanente della propria condotta cristiana, intessuta di preghiera e di vita interiore, mediante la frequente pratica dei Sacramenti ed il concreto esercizio delle opere di misericordia spirituale e corporale”.

Secondo Giovanni Paolo II, per assicurarci un posto in Paradiso non possiamo limitarci a indossare lo scapolare marrone, ma dobbiamo anche pregare, accostarci alla confessione, assistere alla Messa e praticare le opere di misericordia. Non sembra affatto facile!

Per dirla in modo più semplice, l’“abito” che dobbiamo indossare deve basarsi su un “abito” di preghiera.

E allora, la prossima volta che indosserete uno scapolare marrone aprite il vostro cuore alle grazie di Dio e all’intercessione di Maria. Ella desidera condurvi in Paradiso, ma non potete accomodarvi sul sedile posteriore e lasciare che sia solo lei a guidare. Dovete prendere il comando mentre lei siede vicino a voi, conducendovi sulla via che dovreste percorrere.

 

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Philip Kosloski è marito e padre di cinque figli. Oltre che per Aleteia, scrive per il The Pope’s Worldwide Prayer Network (Apostolato della Preghiera) e ha un blog sul National Catholic Register.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]