Le circostanze dell’arresto di José Lopez – l’ex sottosegretario ai Lavori Pubblici preso mentre cercava di nascondere 8 milioni di dollari in un convento – hanno messo in serio imbarazzo la Chiesa argentina, che è rimasta implicata in una delle inchieste sulla corruzione politica durante l’era dei Kirchner.
Lopez è stato fermato lo scorso 14 giugno, mentre cercava di nascondere borse con contanti, oggetti preziosi e un’arma automatica nel convento delle Monache Oranti e Penitenti di Nostra Signora del Rosario di Fatima, nell’hinterland di Buenos Aires (Diocesi di Mercedes-Luján). Secondo prime ricostruzioni il politico avrebbe fatto entrare le borse nel convento lanciandole dall’esterno delle mura di cinta della struttura. Un video di sorveglianza emerso in seguito ha mostrato però che una delle suore, Celia Aparicio, ha aperto la porta a Lopez e lo ha aiutato a portare all’interno le preziose e compromettenti borse. E mentre il pm incaricato dell’inchiesta convocava Aparicio per chiarire i fatti, è arrivata una rivelazione shock: il convento in realtà non è un convento e le suore non sono suore.
Secondo il presidente della Conferenza episcopale argentina, José Maria Arancedo «si tratta di donne consacrate, che il vescovo locale ha autorizzato a portare gli abiti religiosi e a darsi una certa struttura».
Come se non bastasse, la segretaria del convento, Ana Pronesti, è stata accusata di usura. Avrebbe fatto affari prestando a tassi abusivi denaro per proprietà che poi acquistava nelle aste giudiziarie quando il rimborso diventava impossibile.
Monsignor Arancedo ha detto che «il Vaticano potrebbe intervenire in questo caso», e «Papa Francesco potrebbe chiedere un’inchiesta». «La Chiesa non può coprire questi fatti di presunta corruzione, perché non solamente ci provocano dolore, ma inoltre insudiciano la nostra immagine», ha sottolineato il presidente dei vescovi argentini.