Al suo primo Festino di Santa Rosalia, da vescovo, in mezzo ai palermitani e alla loro santa Patrona, l’Arcivescovo di Palermo, monsignore Corrado Lorefice – per il tradizionale saluto alla Città – traccia un bilancio di questi primi sette mesi di servizio episcopale svolti nel capoluogo siciliano: racconta di aver cominciato «a scoprire Palermo, a camminare sulle sue strade, ad ascoltare tutti quelli che potevo, a “diventare” palermitano, figlio di adozione di questa terra, così bella, così vera»; parla della Chiesa locale definendola la sua “Sposa”, e del legame profondo e riconoscente avvertito con i presbiteri, i religiosi, i seminaristi e tutto il popolo di Dio che gli è stato affidato da Papa Francesco. «La nostra Palermo – dichiara Lorefice – è bella come Rosalia. Zyz, cioè “fiore”, la chiamarono giustamente i Cartaginesi. È la stessa bellezza che i Greci esprimevano con la parola kalón», una bellezza che nasce dalle scelte e dai gesti degli uomini, che può essere custodita o insidiata, una bellezza che va rispettata e conservata con amore. «Non abituiamoci – precisa l’Arcivescovo – alla bellezza di Palermo, non lasciamola deperire come se non ci riguardasse! Rispettiamola nei fatti, ogni giorno, con la cura dei cittadini e non con il menefreghismo dei profittatori, con comportamenti quotidiani di civiltà e non con la trascuratezza di chi usa e getta. Ma soprattutto difendiamola da chi vuole attaccarla in maniera massiccia e criminale».
Lorefice parla di una Palermo offesa, stretta dai nemici, macchiata ancora di sangue, segnata dalla sopraffazione e dall’illegalità, invitando tutti al cambiamento, alla conversione e alla responsabilità. «Facciamo tutto quel che è possibile – lo dico in primo luogo alle autorità presenti – per contrastare il bieco disegno di chi non guarda in faccia nulla, di chi per il denaro e il profitto non ha rispetto degli altri e della storia. Reagiamo noi, insieme, come Città, per dire a chi volesse farne un nuovo “sacco” che Palermo non si tocca!».
Palermo è chiamata ad assomigliare sempre di più alla sua santa Patrona, per rendere bella la quotidianità e vivere relazioni autentiche, rispettando l’anima dell’altro. «Ce lo ha ricordato proprio in questi giorni Papa Francesco – dichiara mons. Lorefice –, con la sua bellissima Esortazione Apostolica Amoris Laetitia. Siamo chiamati in definitiva a “sentire” l’altro, perché le relazioni vere nascono e crescono dove c’è sintonia, c’è finezza, c’è rispetto, ascolto. Tra genitori e figli, tra insegnanti e allievi, tra educatori e giovani, in ogni contesto, impariamo, come Rosalia e da lei, ad andare oltre quello che sembra, oltre l’effimero per cogliere l’autentico, per incontrare l’altro nel profondo».
Lorefice non dimentica gli attentati di Dacca e Nizza e la loro folle maturazione ideologica, «l’esistenza di chi si vota alla violenza, al sopruso, di chi sceglie la mafia come stile e significato della vita è un’esistenza buttata, priva di senso, senza bellezza e senza gioia». Chi vive così – sottolinea l’Arcivescovo – «è solo un latitante della vita!». Poi un appello agli esponenti della criminalità, a chi ha violato e ferito così profondamente la Città, «a tutti quelli che intendono continuare su questa strada: «Fermatevi! Riflettete! Pensate a quando il sole tramonta, scende la sera, e voi tornate a casa, dalla vostra famiglia, dai vostri figli. E sapete di non poter essere fieri davanti a loro di aver annientato la bellezza, di aver dato fuoco agli alberi, di aver violato la natura, di aver estorto denaro e trafficato narcotici devastanti la mente ed il cuore delle nuove generazioni, di aver disprezzato la giustizia e l’onestà. Risvegliate il vostro cuore. Non rimanete in questo nulla. Vi dico stasera, da vescovo – cioè da uno che è chiamato a “vegliare” sulla Chiesa e sulla Città – che nonostante tutto voi siete e io mi sento vostro fratello, che sono qui pronto ad ascoltare le vostre parole, a sentire il risentimento o la mancanza da cui si genera la vostra determinazione nel male. Sono qui ad aspettarvi e a darvi un’occasione, a piangere come Gesù ma anche a sperare. Non tradite Palermo e non “tradite voi stessi!”». Un invito simile a quello che don Giuseppe Puglisi rivolse ai boss di Brancaccio nel tentativo di instaurare un dialogo.
Parlando poi alle autorità governanti, Lorefice ha precisato che «l’autorità c’è per far crescere, avere autorità significa far crescere gli altri… impegniamoci, impegnatevi con tutto voi stessi per Palermo! Perché a Palermo si senta la giornaliera vicinanza dello Stato, perché nel quotidiano si sperimenti la positività di una presenza che garantisca il diritto – in particolare al lavoro, alla casa e all’affetto familiare –, che difenda la giustizia, che soccorra il debole, che stronchi gli intrecci perversi tra amministrazione pubblica e malavita, tra politica e mafia, tra potere e corruzione. Papa Francesco lo ha detto forte e io lo ripeto stasera: la fede in Gesù e l’esercizio corrotto del potere sono incompatibili! E tutta la nostra Città, ma soprattutto noi come Chiesa dobbiamo prenderne atto in maniera forte, e convertirci».
L’Arcivescovo siciliano ricorda, infine l’urgenza di restituire alla Città la storica vocazione dell’accoglienza, «della pace nelle diversità, del dialogo e della relazione, che è vera solo se preserva la differenza», e anche il coraggio di rendere «la nostra magnifica Città anche un crocevia degli appestati, di tutte le donne e gli uomini considerati come scarti della storia e che debbono poter trovare nella Chiesa di Palermo, nella città di Palermo, un riferimento certo». Lorefice ricorda i tanti sventurati che hanno lasciato i loro paesi «per un viaggio disumano, tragico, in cerca di rifugio, di benessere, di libertà. Molti di essi hanno trovato la loro tomba nel Mediterraneo, molto altri hanno iniziato nella nostra isola un percorso spesso difficile e tormentato». Vengono da tante parti del mondo, e a Palermo devono trovare uno spazio di elezione, di attenzione, un luogo di pura accoglienza, una cittadinanza.