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In difesa delle dimostrazioni pubbliche di affetto in chiesa (e ovunque)

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Pixabay.com/Public Domain/ © AdinaVoicu

Bronwyn Lea - pubblicato il 15/07/16

Sono espressioni d'amore e sostegno, e allora perché siamo così rapidi nel condannarle se si verificano al di fuori degli spazi privati?

Vorrei raccontarvi una storia sulle dimostrazioni pubbliche di affetto. Durante l’adorazione in chiesa. Da parte di una coppia sposata. Implicava toccarsi e abbracciarsi e molto contatto fisico. Ed è stata una delle cose più belle che abbia mai visto.

È avvenuto una domenica mattina. Com’è abitudine dei tifosi dello sport e di chi va in chiesa, la nostra comunità era in piedi e cantava. La prima canzone era una celebrazione della bontà e della gratitudine. La seconda era più riflessiva, e pochi banchi davanti a me ho notato un paio di spalle femminili scuotersi mentre la loro proprietaria cantava. Suo marito è morto poco più di un anno fa, e i suoi singhiozzi hanno attirato la mia attenzione sulle parole che stavo cantando senza pensarci troppo. Lui è sempre con noi, cantavamo. Non siamo mai soli. Lui asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi.

Alla sua destra, una coppia ha notato le sue lacrime. Anche loro due avevano pianto la morte dell’uomo. Dopo essersi fatti un cenno impercettibile, si sono accostati ciascuno a un lato dell’amica sofferente: due pilastri che sostenevano una sorella, le loro braccia attorno a lei, continuando a cantare.

È stata l’immagine di queste tre persone che mi sono portata a casa dopo la chiesa e che mi è tornata in mente qualche giorno dopo quando ho letto una lamentela sui social media sull’inadeguatezza delle coppie che si toccano in chiesa. “Perché tutte quelle pacche sulle spalle e quel tenersi per mano?”, si lamentava una persona. “Devono proprio sbandierare il loro status di personefelicemente sposate davanti a tutti i single?”. “Non riescono semplicemente a prendersi una stanza?”, ha scritto un altro. “È già abbastanza difficile vivere senza un partner senza dover anche vedere tutto quel toccarsi in chiesa. Dovrebbero tenere le mani a posto”.

Sì, concordo sul fatto che il toccarsi eccessivamente in pubblico non sia adeguato, ma non sono d’accordo sul fatto che la risposta sia una rigida politica delle “mani a posto”. La risposta a un mondo in cui c’è una forte quantità di toccatine sessualizzate non dovrebbe portare a toccarsi di meno, ma a dimostrare un tocco sano e appropriato come quello della coppia che ho visto in chiesa. Dalla culla alla tomba, siamo creature che hanno bisogno del contatto fisico. I bambini che non vengono tenuti in braccio non crescono bene, e la ricerca conferma che con il passare del tempo il bisogno fondamentale di tocco umano non viene meno. Il contatto fisico promuove il problem­-solving e i legami di gruppo, e in momenti di stress un tocco caloroso dice quello che le parole non riescono a dire: “Condividerò il tuo peso”. Come conclude Johann Hari nel suo potente saggio sulle cause e la lotta alle dipendenze, “l’opposto della dipendenza non è la sobrietà. È la connessione umana”.

Dobbiamo fare spazio alle dimostrazioni pubbliche d’affetto sane, indipendentemente dal fatto che avvengano tra coppie o amici. La questione del “prendersi una stanza” tradisce la convinzione che il toccarsi abbia sempre uno sfondo sessuale, ma non tutti i contatti fisici e le pacche sulle spalle portano al sesso. Tutti noi abbiamo bisogno di contatto fisico sicuro e non sessuale – e questo dovrebbe verificarsi negli spazi pubblici (anche in quelli destinati all’adorazione). “Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo”, scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani delle origini.

La coppia in chiesa ha rappresentato benissimo il potere olistico e guaritore del tocco fisico, ma ha fatto qualcosa di più: ha dimostrato qualcosa anche sul tocco matrimoniale, perché i matrimoni più sani non sono quelli in cui un uomo e una donna si volgono l’uno verso l’altro dando le spalle al mondo, perché i matrimoni troppo concentrati su se stessi spesso collassano sotto la spinta di una tale forza centripeta. I matrimoni che fioriscono ci chiamano ad aprirci insieme al coniuge e a servire il mondo come squadra. Il matrimonio non è solo il tu­-per-­me e l’io-­per-­te, ma il noi­-per­-gli­-altri, e anche l’espressione più intima del tocco matrimoniale serve alla fine a questo scopo: il sesso unisce una coppia in privato, ma il frutto a lungo termine del tocco matrimoniale sono i figli – un dono pubblico, e la base della comunità.

Le persone sono più di esseri pensanti e di esseri emotivi. Abbiamo bisogno di qualcosa di più di pensieri e preghiere quando soffriamo, e più di parole gentili quando ci sentiamo soli. Siamo anime incarnate e abbiamo bisogno del contatto corporeo. Single o sposati, dobbiamo dare e ricevere sane dimostrazioni d’affetto. Abbracciamole.

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Bronwyn Leaè una scrittrice, oratrice e madre di tre figli. Originaria del Sudafrica, vive nella California del nord. Scrive sulle cose sante e divertenti della vita, su rapporti e cultura sul suo blog e su Huf ington Post, Scary Mommy, RELEVANT e Christianity Today.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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