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Si può vivere in austerità nel mondo del consumismo?

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Catholic Link - pubblicato il 14/07/16

5 domande da porti quando vuoi comprare qualcosa

di María Belén Andrada

“Ricordate che quando abbandonerete questa terra non potrete portare con voi nulla di quanto avete ricevuto, ma soltanto ciò che avete dato”, diceva il poverello di Assisi. E quindi non ci sarà possibile portare con noi né il nostro smartphone, né le nostre scarpe alla moda, né tantissime altre cose. Ma questo significa che non dobbiamo possederle? Anche se non potrò usare il telefono in Cielo, qui sulla terra ne ho bisogno. Ad eccezione di quelle persone a cui Dio chiede un voto di povertà assoluta – come è stato chiesto a quel gran santo che è stato Francesco – la maggior parte della popolazione si muove tra le cose, con le cose e desiderando cose. Cose, cose, cose, ancora più cose… Come vivere l’austerità e la sobrietà essendo persone che lavorano, hanno uno stipendio, fanno a cena fuori, ecc?

Ecco alcune domande le cui risposte potranno aiutarti a trovare un equilibrio tra l’austerità e il ritmo della vita moderna.

1. Mi serve?

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Quello che potrebbe servire al mio fratello è diverso da ciò che potrebbe servire a me. Ma cosa significa “avere bisogno”? La Real Academia Española definisce la parola necessità come «mancanza di cose che sono fondamentali per la conservazione della vita». Questa definizione mi spaventa, perché… non mi dovrei comprare neanche una camicia nuova, dato che non è fondamentale per la conservazione della vita?

Se diamo alla parola questo significato, penso che siano davvero poche le cose che potremmo ritenere necessarie. Però possiamo sicuramente dire di “aver bisogno” di un computer, ad esempio, perché è il mio lavoro a esigerlo. “Ho bisogno” di un’auto, perché ho sei figli e devo accompagnarli a scuola e alle varie attività. “Ho bisogno” di un vestito buono, perché in quanto presidente di un’azienda voglio dare una buona impressione a chi lavora con me.

La “necessità” è inoltre caratterizzata da un qualcosa di ben più esigente di quanto non sia scritto nel dizionario: la nostra coscienza, le nostre intenzioni e ciò che pensiamo riguardo alla presunta utilità di un acquisto.

«Ho bisogno di poche cose. E delle poche cose di cui ho bisogno, ne ho poco bisogno» (San Francesco d’Assisi).


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2. Cosa succederà se non lo compro?

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Una volta che abbiamo risposto alla prima domanda, potremmo arrivare alla conclusione che in effetti abbiamo davvero bisogno di comprare una determinata cosa. Ma la verità è che… in questo momento non ci sono soldi! E quindi, se hai bisogno di una macchina, queste sono le alternative: 1. aspetti; 2. chiedi un prestito; 3. reciti una novena a San Espedito.

Forse non hai a portata di mano un’immagine di San Espedito oppure non hai la credibilità bancaria necessaria per ottenere un prestito. Quindi… aspetta. L’austerità, più che a “non avere”, dovrebbe spingerci a non avere fretta, a non disperarci, a cercare un prezzo più vantaggioso, a valutare più opzioni, a non essere impulsivi. Mi verrebbe da dire: sappi amare il tempo in cui non hai ciò che ti serve! Perché forse in quell’attesa potresti capire che  non tutto il male viene per nuocere: vivere dei momenti di penuria può aiutarci a farci comprendere le esigenze di chi ha meno di noi, insegnandoci la gioia della gratitudine.

Da un lato. Da un altro lato dovremmo anche riflettere sulla quantità di ciò che abbiamo. È davvero fondamentale possedere lo stesso modello di pantaloni ma in colori diversi? Oppure avere con sé tre penne, nel caso perdiamo le prime due? Abbiamo la smania di accumulare cose, senza chiederci se siano davvero utili, necessarie o se averle o meno faccia la differenza.

Ovviamente tutto dipende anche dalle situazioni di ognuno di noi. Forse hai bisogno di avere 3 camicie uguali, perché ti è richiesto di indossare un’uniforme e non hai il tempo di lavarla tutti i giorni: ognuno di noi deve riflettere, con sincerità, sulla propria vita.

«Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.» (Mt 6: 19-21).

3. Perché lo voglio?

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Ora abbiamo la possibilità di analizzare se vogliamo quella cosa perché ci aiuta a lavorare, a studiare o a servire meglio, oppure se è un lusso inutile che risponde a un capriccio. O forse ci rende la vita più comoda, ma è una spesa che possiamo evitare. Voglio condividere con te un estratto di un’intervista a San Josemaría Escrivá de Balaguer, in cui il santo mostra alcune sfumature di ciò che stiamo dicendo:

«Sacrificio: ecco in che cosa consiste, in gran parte, la povertà reale. Si tratta di saper prescindere dal superfluo, misurato non tanto con regole teoriche, quanto con l’ascolto della voce interiore che ci avverte che l’egoismo o la comodità ingiusta si stanno inoltrando nella nostra vita. Il benessere, inteso in senso positivo, non significa lusso, né corsa al piacere, ma quanto serve a rendere la vita gradevole alla propria famiglia e agli altri, perché tutti possano servire meglio Dio. La povertà consiste nel raggiungere sul serio il distacco dalle cose terrene; nel sopportare lietamente le scomodità, quando ci sono, o la mancanza di mezzi. Chi è povero sa poi avere tutto il giorno “preso” da un orario elastico, che deve prevedere fra le cose importanti — oltre alle pratiche giornaliere di pietà — il necessario riposo, il tempo per star assieme ai propri cari, un po’ di lettura, i momenti da dedicare a un hobby di arte o di letteratura, o ad altra distrazione onesta; e così sa riempire le ore con un’attività utile, cerca di fare le cose nel migliore dei modi, e cura i particolari di ordine, di puntualità, di buon umore. In una parola, sa trovar posto per servire gli altri e per sé stesso: senza dimenticare che tutti gli uomini e tutte le donne — e non solo quelli materialmente poveri — hanno l’obbligo di lavorare; la ricchezza o una situazione economica agiata non sono che un segno del fatto che si è maggiormente obbligati a sentire la responsabilità dell’intera società. È l’amore che dà senso al sacrificio».

4. Cosa faccio se mi serve?

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Mi lamento? Piango (per quanto possa far sorridere, può succedere)? Ci lamentiamo facilmente, a volte sul serio e altre volte per scherzo, ma principalmente per mostrare che ci manca qualcosa. Dalle cose minime alle cose più serie. Il problema è che in questo modo tralasciamo la gratitudine! Cosa? Essere grato perché mi manca qualcosa? Sì. Se siamo grati – e dico “se siamo” perché tutti noi possiamo dimenticarci di essere grati per tutte le cose che abbiamo – è perché riceviamo qualcosa. Non pensiamo quasi mai che forse se non abbiamo qualcosa… è meglio così. Perché? Non saprei. Con quale scopo? Dovresti chiederlo a Dio.

«Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6: 25,32,33).


5. Se ne abbiamo davvero bisogno… torniamo all’origine!

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Se siamo riusciti a rispondere a ogni domanda… torniamo alla prima. Altrimenti si tratta soltanto di un capriccio: se non ti aiuta nel lavoro, nello studio o nell’apostolato, se l’unica conseguenza della sua mancanza è qualche lamentela… non ti serve.

Quando ho scelto questo sottotitolo, mi è venuto in mente “l’origine”. Essendo nel mondo e avendo bisogno di varie cose (per poter lavorare e studiare meglio e offrire al prossimo una vita più serena), non possiamo andare in giro con una foglia di fico come Adamo ed Eva. Quello che possiamo fare però è di pensare con più semplicità. Se prima – nell’epoca dei nostri nonni o anche dei nostri genitori – si poteva vivere, sopravvivere ed essere felici con molto meno… abbiamo davvero bisogno di ciò che abbiamo per la testa oppure è un’esigenza imposta?


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Avvertenze!

1. Possiamo facilmente cadere nell’errore di ingannare noi stessi e gli altri: in tutti i punti menzionati sopra deve esserci sincerità, soprattutto verso se stessi. Perché spesso la nostra coscienza è accondiscendente e non ci pungola neanche un po’. A volte non sarebbe male fare a meno di qualcosa. O perlomeno aspettarla con pazienza.

2. Essere parchi non è sinonimo di non avere nulla: il punto non è “non avere”, bensì ciò che facciamo e come ci relazioniamo con ciò che abbiamo. Ecco perché, se siamo parchi, possiamo tutti vivere virtuosamente pur avendo “molte cose”.

3. Si può facilmente cadere nell’estremismo. Ripeto: non è sbagliato possedere cose. Non commettere l’errore di rinunciare a tutto, finiresti col sembrare sciatto, senza cura per te e chi ti circonda, il lavoro non procederebbe come dovrebbe, non otterresti i risultati sperati nello studio – con danno per l’intera società – ecc. Per evitare tutto questo, rileggi il primo avviso e assicurati di non vivere in una falsa povertà. La disattenzione, la pigrizia e il fariseismo sono in realtà segnali di superbia e di desiderio di essere compatiti.

4. A volte potrà mancarci il necessario. Che sia l’auto, la casa, la camicia o altre cose citate sopra… possono arrivare momenti in cui non abbiamo neanche lo stretto indispensabile. E se mi trovassi senza lavoro? E se non dovessi avere ciò con cui sfamare i miei figli? Se non riuscissi più a pagare i miei studi? Anche in questo caso, ci sono alcuni consigli che sento di darti: ringrazia la povertà che ci identifica con Cristo che – nella nostra fede e preghiera – ci dà i mezzi umani per ottenere ciò che ci manca.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista]

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