Raramente si era letto una dichiarazione episcopale, al termine di un’Assemblea plenaria, come quella di poche ore fa dei vescovi del Venezuela. Le riflessioni e ragionamenti dei presuli sembrano definitivi e perentori per il presidente Nicolás Maduro. È vero che il documento si apre con esortazioni alla riconciliazione, al dialogo e alla ricerca di soluzioni efficaci per la terribile crisi che il Paese sudamericano ormai vive da quattro anni, ma è anche vero che diversi passaggi del documento non lasciano dubbi sul giudizio complessivo della Chiesa in Venezuela sulla situazione odierna della nazione. I vescovi non hanno dubbi: il popolo venezuelano «attraversa un momento cruciale nell’ambito della vita morale, economica, politica e sociale (…) perché è diminuita drasticamente la qualità della vita e la mancanza di cibo, farmaci e materiale ospedaliero ci stanno portando – scrivono i vescovi – sull’orlo di una crisi per la sicurezza alimentare e sanitaria». Intanto, aggiungono, «nella vita pubblica crescono l’insicurezza, l’impunità e la repressione militare».
A questo punto i vescovi, che si sono riunito nella loro 106.ma plenaria, lanciano un monito severissimo: «Il discorso bellicista e aggressivo dei dirigenti ufficiali rende sempre più difficile la vita di ogni giorno. La predica costante dell’odio, la criminalizzazione e la punizione di ogni dissidenza colpiscono le famiglie e i rapporti sociali. Di fronte a questa situazione, osservano i presuli, l’aumento del potere militare è una minaccia per la tranquillità e la pace».
Dopo aver ricordato diverse recenti situazioni odiose di violenza e odio, tra cui l’assalto a un gruppo di seminaristi, maltrattati e denudati per strada con il solo scopo di umiliare la loro dignità, l’episcopato lancia una nuovo monito, pesante e inedito: «Lo stato di diritto sancito nel comma 2 della Costituzione si è debilitato. Viviamo in pratica sotto l’arbitrio delle autorità e dei funzionari pubblici, che tendono a essere censori della vita altrui, del pensiero e dell’agire dei cittadini. Tali atteggiamenti e procedimenti sono inaccettabili. L’identità culturale del venezuelano si riduce, e addirittura si offusca, quando si prende in considerazione solo il fatto se lui appartiene al progetto politico imperante».
Insomma, se non dittatura, per i vescovi la situazione del Paese è sull’orlo del totalitarismo e lo confermano con queste parole: «La democrazia in Venezuela si è rotta, e il governo e altri poteri, che hanno la responsabilità di ascoltare e concertare tutti i settori, non fanno ciò che sarebbe sufficiente per ricostruirla. Il dialogo sincero e costruttivo, l’esercizio della politica nella sua più nobile concezione come è la ricerca del bene comune, anche se possono essere difficili, devono continuare a essere i sentieri sui quali dobbiamo camminare. Non si può dialogare se non si riconosce in primo luogo l’esistenza e l’uguaglianza dell’altro. Ignorarlo o squalificarlo come interlocutore chiude la possibilità di superare il conflitto».
I vescovi, nei diciassette punti della loro dichiarazione, parlano a più riprese sulla corruzione, l’intolleranza, l’anarchia, lo scioglimento di fatto di vecchie e nobili istituzioni, della decomposizione morale del «bachaqueo», e cioè, l’orrenda diffusa pratica di speculare con il cibo e i farmaci, ormai venduti a prezzi esorbitanti nel mercato nero. E tutto ciò, osserva la dichiarazione, riguarda moltissimi: persone e istituzioni pubbliche, private e anche militari.
Una riflessione speciale i vescovi la dedicano all’intenzione di Maduro di far sciogliere il Parlamento e dicono: «Disconoscere l’autorità legittima dell’Assemblea nazionale, toglie legittimità a chi la propone poiché è in contraddizione con la volontà sovrana espressa nel voto popolare». A questo punto l’episcopato prende, per la prima volta, posizione sul referendum revocatorio che le opposizioni vorrebbero e per il quale hanno già raccolto milioni di firme. Si legge nella dichiarazione: «Il Consiglio nazionale elettorale ha l’obbligo di proteggere il processo del referendum revocatorio affinché si possa svolgere entro l’anno. È un cammino democratico e un diritto politico sancito nella Costituzione. Impedirlo o ritardarlo con molteplici pretesti è una misura assurda poiché mette in pericolo la stabilità democratica e sociale del Paese con tragiche conseguenze per le persone».
I vescovi concludono con alcune proposte concrete da attuare subito.
Consentire l’ingresso immediato nel Paese delle medicine che mancano e la Chiesa mette a disposizione da subito le sue istituzioni, in particolare le Caritas. Si tratta di salvare molte vite umane oggi in pericolo.
Aprire ora e in modo permanente la frontiera tra il Venezuela e la Colombia, paese quest’ultimo dove spesso si va a cercare cibo e medicine, quando si può.
Libertà immediata per i prigionieri politici, la maggioranza dei quali sopravvive in condizioni inumane, accusati in modo arbitrario e senza processi e garanzie.
Il governo non deve considerare la solidarietà di altri paesi, popoli e istituzioni come un’ingerenza nella vita interna.
La Chiesa in Venezuela, ancora una volta, conclude il documento, offre i suoi servizi per facilitare un incontro tra coloro che oggi sono avversari e cercare attraverso la via del dialogo soluzioni efficaci per la crisi.