Bisogna evitare valutazioni superficiali di questo tipo. Ecco perché le tentazioni non vengono mai dal Signore!
Dio è sadico? È lui che ci induce in tentazione per vedere quale è il nostro comportamento?
A questa domande risponde Franco Manzi in “Prove di Dio o tentazioni del diavolo?” (Ancora editrice) con una serie di argomentazioni che sgombrano ogni dubbio sul rapporto tra Dio e gli uomini.
NON HA BISOGNO DI PECCATORI
In primo luogo, la Lettera di Giacomo esclude un legame di causalità diretta dell’azione di Dio rispetto alla prova/tentazione. A questa verità di fede era già pervenuto in maniera abbastanza esplicita il Siracide (190/180 a.C.), il quale insegnava al suo discepolo:
Non dire: «A causa del Signore sono venuto meno», perché egli non fa quello che detesta.
Non dire: «Egli mi ha tratto in errore», perché non ha bisogno di un peccatore (Sir 15,11-12).
FEDELI ALLEATI
Il Signore non trae in errore gli uomini perché, avendoli creati liberi e volendone rispettare sempre la libertà, desidera farne non empi peccatori, ma fedeli alleati:
Da principio Dio creò l’uomo e lo lasciò in balia del suo proprio volere.
Se tu vuoi, puoi osservare i comandamenti; l’essere fedele dipende dalla tua buona volontà. […]
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa. […]
A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare (Sir 15,14-15.17-18.20).
UNA SPIEGAZIONE CHE CI FA COMODO
Approfondendo questa riflessione, la Lettera di Giacomo mostra quanto sia erroneo stabilire un legame di causalità immediata fra le prove/tentazioni e il Signore. Se fosse davvero Dio a provocarle, ne «farebbero le spese» sia lui, che apparirebbe come un sadico tentatore, sia gli uomini, che risulterebbero gravemente menomati nella loro libertà.
A livello teologico, resterebbe contraddetto ciò che di Dio ci ha rivelato Gesù, vale a dire che Dio è un Padre buono con tutti i suoi figli e che non fa mai male a nessuno di loro. D’altronde, sul piano morale, concepire un Dio «tentatore» potrebbe sembrarci all’inizio abbastanza comodo, perché ci permetterebbe di alleggerire notevolmente il peso delle nostre responsabilità («Ho ceduto alla tentazione, ma è colpa del Signore che me l’ha mandata!»). In realtà, sarebbe semplicemente umiliante per la creatura umana essere dotata di una «libertà» così influenzabile dal Dio creatore!
UN “FANTASMA” CREATO DAGLI UOMINI
Certo è che una divinità così ambigua non corrisponderebbe per nulla all’unico vero Dio manifestatoci definitivamente da Cristo. Sarebbe piuttosto un «fantasma» creato dagli uomini, che non si potrebbe amare, ma soltanto temere! Anzi, chiunque coltivasse nella propria coscienza questa caricatura di Dio, finirebbe paradossalmente per mettere − lui! − alla prova il Signore(cf Is 7,12).
“NON METTERE IL SIGNORE ALLA PROVA”
Nel «giorno della prova/tentazione nel deserto» durante l’esodo verso la terra promessa, gli Israeliti si lasciarono sopraffare da un’incredulità del genere, giungendo a mettere alla prova Dio. Ne misero in dubbio l’onnipotente benevolenza nei loro confronti. Le conseguenze del loro atteggiamento peccaminoso furono disastrose! Perciò «non mettiamo alla prova il Signore − raccomanda anche a noi l’apostolo Paolo − come lo misero alla prova alcuni di loro, e caddero vittime dei serpenti».
LA LEZIONE DI GESÙ
Chiaro il radicamento di questa raccomandazione nell’insegnamento di Cristo, che, nella parabola del buon grano e della zizzania (Mt 13,24-30.36-43), rintraccia il fautore di «tutti gli scandali» e il tentatore di «tutti quelli che commettono iniquità» (v. 41; cf v. 38) nel «nemico», ossia nel «diavolo»(v. 39).
LA TENTAZIONE DEL DIAVOLO
L’Apocalisse di Giovanni puntualizza che «il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e Satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra» (Ap 12,9). Il fautore della tentazione non è dunque da cercare in cielo. Non è da identificare con Dio, bensì col diavolo, il quale si dà da fare «sulla terra».
Chi pecca lo fa perché, «con piena consapevolezza e deliberato consenso», cede alla tentazione del diavolo, il quale sa abilmente sfruttare la «concupiscenza» (Gc 1,14) − o bramosia − dell’uomo.