«Emmanuel e Chimiary, dopo la perdita della prima figlioletta per mano dei terroristi nigeriani, e l’aborto conseguente le botte e la traversata dalla Libia, volevano un altro bambino. Era questo il loro sogno». Suor Rita Pimpinicchi, 42 anni, della fraternità delle Piccole Sorelle di Jesus Caritas, è la religiosa coordinatrice del campo profughi di Fermo gestito dalla fondazione Caritas in Veritate, guidata da don Vinicio Albanesi. Tra i tanti migranti che ha accolto dall’aprile del 2014, quando il campo è stato aperto, c’era anche la coppia di giovani nigeriani, arrivati nelle Marche otto mesi fa. «Due ragazzi d’oro», dice la suora.
Suor Rita, conosceva Amedeo Mancini, l’ultrà fermato con l’accusa di omicidio preterintenzionale (con l’aggravante razzista) per la morte di Emmanuel?
«No, non direttamente, ma in città era noto come un tipo violento».
Emmanuel, invece, aveva mai avuto atteggiamenti violenti?
«Mai, era una persona molto sensibile. All’inizio, appena arrivato, sembrava un po’ chiuso. Penso dipendesse da quello che aveva passato e dalle difficoltà con la nostra lingua. Poi pian piano, frequentando al mattino il corso d’italiano, le cose sono cambiate. Al pomeriggio ci aiutava in vari servizi: in refettorio, nelle pulizie e si è sempre mostrato disponibile. In Nigeria aveva frequentato solo le scuole elementari: sognava di potersi sposare regolarmente (don Vinicio aveva celebrato per loro solo una promessa di matrimonio), di trovare un lavoro. Lui e la moglie, poverini, volevano tanto avere un altro bambino».
Ecco, la moglie. Come sta Chimiary?
«È sconvolta, viene seguita dai medici. Cerchiamo di farle coraggio, ma in Italia ormai è completamente sola, non ha parenti, nessuno. Ci ha detto che vuole morire. Le abbiamo promesso che diventerà medico, perché quando era in Nigeria studiava Medicina ma ha dovuto lasciar perdere dopo la fuga».
Verranno espiantati per la donazione gli organi del giovane nigeriano assassinato?
«Su questo aspetto la ragazza sta ancora riflettendo. Per la loro cultura è molto difficile immaginare qualcosa del genere».
In tanti sono rimasti colpiti dal gesto di Chimiary che durante la veglia di mercoledì notte ha voluto intonare una preghiera d’addio nella sua lingua…
«Non ce l’aspettavamo, era appena rientrata dall’ospedale. Indossava un vestito bianco con un foulard. Quel canto era straziante. Il senso era: “Dio, dove sei? Perché mi hai lasciato in questo mondo cattivo senza il mio uomo?”».
Come hanno reagito gli altri ragazzi ospitati nella comunità?
«Sono provati, ma nel dolore mostrano grande dignità. Non vogliono avere paura, mi hanno detto. Certo, per noi la tentazione dello sconforto è grande ma continueremo ad aiutare tutti».
Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano La Stampa