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Padre Albanese: “Islam strumentalizzato per fini eversivi”

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Vatican Insider - pubblicato il 06/07/16
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Abbiamo chiesto a padre Giulio Albanese, missionario e giornalista, esperto di Africa, Medio Oriente e dei tanti ’sud’ del mondo, da ultimo autore del volume «Vittime e carnefici nel nome di ’Dio’» (2016), di spiegarci quali sono i fattori scatenanti dietro la violenza fondamentalista, a partire dai recenti attentati di Dacca e Baghdad. 

Padre Albanese, nuovi attentati e altro sangue innocente, e ancora il problema drammatico del fondamentalismo religioso. Ma qual è l’obiettivo politico di queste violenze?  

«Credo sia importante non cadere nella trappola di questi personaggi, chiamiamoli criminali, terroristi, malavitosi. Certo, è chiaro che dietro le loro azioni c’è un impianto ideologico, “dottrinale”, e tra l’altro riesce a bucare lo schermo, sappiamo che tipo di manipolazione esercita sulle coscienze delle persone: pensiamo ai “foreign fightes” di seconda e terza generazione appartenenti anche a ceti medio alti. D’altronde, nel caso di Dacca, sappiamo che i terroristi erano tutti rampolli, ragazzi della Dacca bene per così dire. E’ evidente allora che ci troviamo di fronte a una strumentalizzazione della religione per fini eversivi. Io non mi stancherò mai di ripeterlo. Il rischio che corriamo nel raccontare queste storie è quello, in una maniera o nell’altra, senza rendercene conto, di fare il loro gioco». 

E’ una rappresentazione falsa quella che ci viene proposta?  

«Se uno conosce il mondo islamico e l’ha studiato, penso a occidentali ma anche a intellettuali del mondo islamico, sa come sia necessario evitare di cadere nella logica dello scontro delle civiltà. Perché questa che ci propongono è più che un’eresia rispetto al mondo islamico: è qualcosa che con quella tradizione non c’entra niente, è qualcosa in netta contraddizione addirittura con il dettato coranico, per non dire della tradizione sufi, cioè con la tradizione di misticismo islamico. E questo è un aspetto che a mio avviso va sottolineato con forza. Perché poi, andando a vedere le cifre di quella che è stata la mattanza perpetrata da questi criminali negli ultimi 4-5 anni, a pagare il prezzo più alto è il mondo islamico. Dunque è una guerra nel mondo dell’islam con delle propagazioni che arrivano anche ad occidente». 

Va detto, in questo senso, che proprio mentre avveniva il gravissimo attentato di Dacca, un altro attacco, tremendo, si è verificato a Bagdhad con più di duecento vittime…  

«Sì, dove sono morti venti bambini. E che rilevanza ha dato la stampa europea, occidentale? Resta il fatto che ciò che sta suscitando sgomento e sconcerto in queste ore a casa nostra, è ’pane nero’ da quelle parti – ma anche nell’Africa sub-sahariana – queste mattanze sono all’ordine del giorno in certe realtà. E qui ha ragione Papa Francesco nel denunciare il traffico di armi e quando invita le cancellerie alla pace, perché quanto sta accadendo in Medio Oriente è responsabilità anche dell’occidente: sappiamo che c’è un’aperta rivalità sulla questione siriana tra iraniani e russi da una parte, Arabia Saudita, Stati Uniti, Qatar dall’altra. E’ chiaro che l’Isis ha trovato in questa dialettica forte un terreno fertile, la sua esistenza è un effetto collaterale di interessi geopolitici, su tutto questo non c’è mai stato il coraggio di denunciare l’inganno». 

La guerra, insomma, alimenta il terrorismo…  

«Violenza chiama violenza. Ha ragione il Papa quando dice che l’unica carta da giocare è quella della pace, perché se continuiamo a pensare di risolvere questo tipo di conflitti con le armi siamo perdenti in partenza. Questo è il momento in cui devono scendere il campo le diplomazie perché dietro le quinte dei conflitti ci sono enormi interessi». 

Aprire negoziati veri fra i diversi soggetti coinvolti nella crisi siriana è allora una delle risposte urgente da dare?  

«Certo, perché bisogna togliere l’ossigeno a questi criminali altrimenti continueranno a speculare su situazioni geopolitiche e planetarie, in quanto l’induzione di certi problemi è tale che si espande tutto a macchia d’olio. Pensiamo solamente alla diatriba tra Iran e Arabia Saudita, che non è la diatriba fra sciiti e sunniti: qui parliamo di componenti specifiche interne al mondo sunnita, penso ai salafiti, al wahabismo, e lo stesso ragionamento si può fare sul versante sciita. Il problema è che il mondo islamico è in crisi da decenni e noi abbiamo fatto finta di niente». 

Forse paghiamo anche una certa ignoranza rispetto a questo mondo, il che ci porta ad accettare facilmente semplificazioni eccessive…  

«La responsabilità più grande è di chi fa informazione. Perché noi alla fine facciamo passare il messaggio che questa è una guerra contro “i nuovi crociati del terzo millennio”; insisto allora, andiamo a vedere i numeri, e c’è da mettersi le mani nei capelli: ma Boko Haram ha ammazzato più cristiani o musulmani? E gli al Shabaab in Somalia chi ammazzano? E quella è davvero una guerra all’interno dell’Islam in nome di un’ideologia perversa… E naturalmente è anche contro l’occidente perché in fondo quello che loro rimproverano a un certo mondo musulmano è di essere stato troppo tollerante nei confronti di un certo capitalismo e via discorrendo, ma qui il problema sarebbe molto ampio…». 

Ma se lo scontro è all’interno dell’Islam, il conflitto non è anche fra un mondo islamico riformatore che sta soccombendo nel sangue a causa di queste crisi e all’invasività di gruppi così brutalmente violenti? Non c’è anche un problema di cultura dei diritti umani?  

«Sono perfettamente d’accordo. C’è una sfida che ha una valenza prettamente teologica e che riguarda la relazione fra ciò che è politico e ciò che è religioso: il mondo islamico deve andare al di là di un’impostazione teocratica che condiziona gli Stati sovrani dall’epoca post-coloniale in poi, quindi è anche la sfida della modernità. Questo è verissimo, non c’è dubbio. Ma un conto è dire questo, un altro considerare i personaggi dell’Isis, e simili organizzazioni criminali, uomini o donne di religione. Cadere in una trappola del genere, ripeto, significa fare il loro gioco. Anche perché quello che dicono questi signori non c’entra niente nemmeno con la tradizione coranica. Anche rispetto a chi fa parte del fronte conservatore». 

Come si è comportato di fronte a questo scenario l’Occidente’?  

«Non abbiamo fatto niente, abbiamo lasciato che le università finissero in mano ai salafiti, ma devo dire di più: non abbiamo speso un euro per finanziare gli intellettuali nel mondo islamico che ragionano su queste cose e non sono pochi. Invece abbiamo venduto le armi».  

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