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Gesù, esempio supremo di leadership

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SFIO CRACHO

Adenilton Turquete - pubblicato il 05/07/16

La leadership fa la differenza, perché offre direzione, modella il carattere e crea opportunità

Il tema della leadership ha ricevuto grande attenzione negli ultimi anni. La Chiesa del Signore Gesù ha urgente bisogno di leader irreprensibili con il cuore secondo il cuore di Dio stesso.

La leadership fa la differenza, e una grande differenza, perché offre direzione, modella il carattere e crea opportunità. Gli effetti della leadership iniziano alla nascita, ma non smettono di esistere con la morte.

Coloro che Dio sceglie per guidare hanno sia privilegi che responsabilità. La loro influenza sulle altre persone li distingue dai seguaci. La leadership di alta qualità è tra i tesori più preziosi di qualsiasi comunità o organizzazione. La leadership di bassa qualità, al contrario, produce un tragico spreco e una frustrazione caotica. I leader di Dio (e per Dio) sono sempre pochi.

Il nostro mondo è alla ricerca di un leader. Sta cercando qualcuno che abbia una visione e possa esercitare saldamente un’influenza speciale per portare la Chiesa, o perfino un Paese intero, alla conoscenza della Salvezza.

Cominciare con pochi

Tutto ha un suo inizio, e in questo caso si è verificato quando Gesù ha chiamato alcuni uomini e li ha invitati a seguirlo. Non ha mostrato di preoccuparsi di progetti speciali per raggiungere grandi platee, ma si concentrava sulle persone che le folle dovevano seguire. Prima di diventare noto al grande pubblico, Gesù ha iniziato a riunire un gruppo selezionato di uomini.

Gesù ha cercato persone che fossero capaci di portare avanti la sua opera dopo il suo ritorno al Padre. Giovanni e Andrea sono stati i primi convocati. Andrea ha poi portato suo fratello Pietro (Gv 1, 41-42). Il giorno dopo, Gesù ha incontrato Filippo sulla via verso la Galilea, e questi, a sua volta, ha trovato Natanaele (GV 1, 43-51). Giacomo, fratello di Giovanni, non è menzionato come membro del gruppo fin quando i quattro pescatori non vengono convocati di nuovo, molti mesi dopo, nel mare di Galilea (Mc 1, 19; Mt 4, 21). Subito dopo, passando per la città di Cafarnao, il Maestro propone a Matteo di seguirlo (Mc 2, 13-14; Mt 9, 9; Lc 5, 27-28). La chiamata degli altri discepoli non è stata registrata nei Vangeli, ma si crede che tutte siano avvenute nel primo anno del ministero di nostro Signore.

Quei pochi pionieri convertiti erano destinati a diventare i leader della Chiesa del Signore. Sarebbero stati loro a portare il Vangelo in tutto il mondo. La loro vita ha un significato che durerà per tutta l’eternità.

L’aspetto più interessante relativo a questo gruppo di uomini è che all’inizio nessuno di loro “colpiva”. Nessuno occupava una posizione di spicco nella sinagoga, e nessuno apparteneva al corpo sacerdotale levita. La maggior parte di loro era formata da lavoratori comuni, e probabilmente non aveva alcuna qualifica al di là di una conoscenza di base necessaria per l’esercizio della propria professione.

Forse alcuni appartenevano a famiglie benestanti, come i figli di Zebedeo, ma nessuno di loro avrebbe potuto essere considerato ricco. Non avevano formazione accademica nelle arti e nella filosofia dell’epoca. Come il Maestro, l’educazione formale che avevano ricevuto consisteva appena in quello che si imparava nelle scuole delle sinagoghe. Molti erano cresciuti nella zona più povera della Galilea.

Apparentemente, l’unico dei Dodici allevato in una regione più privilegiata era Giuda Iscariota.

È difficile comprendere come Gesù potesse usare delle persone di questo tipo. Erano uomini impulsivi, temperamentali, che si irritavano facilmente ed erano vittima di ogni tipo di preconcetto nel contesto in cui vivevano. Insomma, gli uomini scelti dal Signore per essere i suoi “assistenti” rappresentavano il profilo medio della società dell’epoca. Non erano persone dalle quali ci si potesse aspettare di guadagnare il mondo per Cristo.

Nonostante questo, Gesù ha visto in quegli uomini semplici il potenziale di leadership per il Regno. Erano “senza istruzione e popolani” in base allo standard del mondo (At 4, 13), ma avevano la capacità di imparare. Anche se sbagliavano nei propri giudizi ed erano lenti a comprendere le questioni spirituali, erano uomini onesti, pronti ad ammettere le proprie debolezze. Il loro comportamento poteva essere grossolano e le loro capacità limitate, ma tranne il traditore avevano tutti un gran cuore.

Forse il fatto più significativo relativo agli apostoli era la loro grande ansia di Dio e delle cose divine. La superficialità della vita religiosa attorno a loro non ha ucciso la speranza che nutrivano nella venuta del Messia (Gv 1, 41,45,49; 6, 69). Erano stanchi dell’ipocrisia degli aristocratici legalisti. Alcuni si erano già uniti al movimento di “ravvivamento” promosso da Giovanni il Battista (Gv 1, 35). Quegli uomini cercavano qualcuno che li guidasse nel cammino della salvezza. Gente di quel tipo, disposta a lasciarsi modellare dalle mani del Maestro, avrebbe potuto guadagnarsi una nuova immagine. Gesù può usare chiunque desideri essere usato.

Una delle lezioni che ci lascia Gesù è che non dobbiamo voler iniziare con un gran numero, né dobbiamo sperarlo. Il miglior lavoro di formazione sarà sempre svolto solo con pochi. Non importa quanto possa sembrare piccolo e timido l’inizio; ciò che conta è che quelli a cui diamo la priorità imparino a trasmetterla ad altri. Nessuno deve ritenersi sottovalutato, perché ciascuno ha un potenziale noto a Dio.

Rimanendo uniti

L’unico modo realistico di ottenere il successo di un progetto è far sì che leadership e membri stiano insieme, ovvero un lavoro di unità della Chiesa, tutti con lo stesso proposito. E così l’evangelismo sarà visto come uno stile di vita e non come una norma religiosa.

Possiamo ispirarci al caso dei primi discepoli dell’era cristiana. Consegnarono il Vangelo alle folle, ma per tutto il tempo si affaccendavano nella costruzione della comunione di coloro che credevano. Gli apostoli, seguendo l’esempio del Maestro, formavano uomini che riproducessero il suo ministero fino ai confini della Terra. Il libro degli Atti degli Apostoli, in realtà, è solo un dispiegamento graduale, nella vita della Chiesa in crescita, dei principi dell’evangelismo che ci hanno raggiunto secoli dopo e che continuano fino alla venuta del Signore.

L’evangelismo non è fatto attraverso cose, ma attraverso persone. Si tratta di un’espressione dell’amore di Dio, e Dio è una persona.

Visto che la natura di Dio è personale, può essere espressa solo attraverso qualche personalità – essendo stata all’inizio rivelata pienamente in Cristo, e ora espressa attraverso il suo Santo Spirito, nella vita di coloro che si sono sottomessi volontariamente a Lui. Le commissioni possono aiutare a organizzare e a indirizzare gli sforzi evangelistici, e con questa finalità sono sicuramente necessarie, ma il lavoro può essere svolto solo da uomini che guadagnano altri uomini per Cristo.

Dobbiamo fare attenzione a non “vendere” un prodotto. Quello che offriamo non è qualcosa di commerciale, ma la Vita Eterna. C’è un pericolo molto grande e grave insito nelle offerte che facciamo in nome dell’evangelismo: non siamo qui per promettere, siamo coloro che mantengono le promesse.

Dobbiamo essere obbedienti alla Voce di Dio e guidati dallo Spirito Santo. Siamo ambasciatori del Regno di Dio, dobbiamo presentarlo, e a chi accetta di farne parte tutte queste cose “saranno date in aggiunta”.

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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