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Quando la Terra era piatta: una mappa dell’universo in base all’Antico Testamento

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Daniel R. Esparza - pubblicato il 04/07/16

La cosmologia ebraica, come la conosciamo a partire dai testi dell'Antico Testamento, è piena di sottigliezze che a volte passano inosservate

Per la cosmologia ebraica dell’Antico Testamento, in generale il mondo in cui viviamo era un disco relativamente piatto coperto da una cupola, un po’ come un portatorte (chiedo scusa per il paragone).

Sotto questo disco si trovavano lo Sheol (il luogo dei morti, non necessariamento l’inferno, più vicino a come i greci intendevano l’Ade – submondo) e le cosiddette “acque profonde”. Fuori dalla cupola c’era altra acqua (le cosiddette “acque superiori”), e al di sopra di questa gli “alti cieli”, o “cieli dei cieli”, dove abitava Dio.

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L’idea che il cielo sia un’enorme cupola solida non era esclusiva della cosmogonia ebraica. In realtà, non è errato dire che fino a un certo punto era patrimonio comune dei popoli antichi. Ad esempio, la nozione più comune in relazione alla questione, come tra greci e romani, era supporre che il cielo fosse una grande cupola di vetro in cui le “stelle fisse” erano legate, anche se alcune variabili indicavano che la cupola non era di vetro ma di ferro o di bronzo. Il fatto che gli ebrei abbiano mantenuto idee simili a quelle dei loro vicini mediterranei si può constatare chiaramente in vari passaggi biblici. Ad esempio, nel libro di Giobbe (37, 18) si legge: “Hai tu forse disteso con lui il firmamento, solido come specchio di metallo fuso?

Il “firmamento” era considerato lo spazio di separazione tra le “acque superiori” e le “acque inferiori”. La cupola della terra era considerata poggiata su pilastri, chiamati “basi” o “fondamenta della terra”.

Nella cupola c’è una serie di finestre, aperture o porte da cui cade la pioggia (ovvero le acque superiori). L’esempio più famoso dell’apertura di queste porte è naturalmente il diluvio di Noè, riferito nel libro della Genesi.

Nelle profondità della terra c’era poi lo Sheol. In generale, si suppone che la parola “Sheol” derivi da un termine ebraico che significa “sommerso” o “vuoto”. Di conseguenza, si presume che lo Sheol fosse una caverna o un luogo sotto terra. Nella Septuaginta (la versione greca dell’Antico Testamento) venne tradotto come Ade, nella Vulgata come Infernus. La parola “Sheol” è comunque usata in un senso molto generale, per riferirsi, nell’escatologia dell’Antico Testamento, al regno dei morti, sia buoni (Genesi 37, 35) che cattivi (Numeri 16, 30).

In un certo senso, lo Sheol può essere inteso sia come “inferno” che come “limbo”, dove riposavano i giusti prima della morte e resurrezione di Cristo, ma visto che questo limbo dei giusti scompare dopo la discesa di Cristo agli inferi, nel Nuovo Testamento lo Sheol viene sempre citato in riferimento all’inferno dei condannati. Come la maggior parte dei concetti e delle nozioni bibliche collegate all’escatologia e alla cosmogonia, è comunque aperto il dibattito sull’interpretazione di questi passi.

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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