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I terroristi di Dacca: nichilismo o Islam?

BANGLADESH-UNREST-RELIGION

© AFP

A picture released by the Bangladesh Branch of the Islamic State group (IS) shows a man identified by IS as Abu Umeer al-Benghali, allegedly one ot the gunman who carried out an attack in the capital Dhaka on July 1, 2016 during which 20 hostages were slaughtered at a restaurant, posing with a rifle in front of a flag of the Islamic State jihadist group at an undisclosed location. Bangladesh said on July 3, 2016 the attackers who slaughtered 20 hostages at a restaurant in Dhaka were well-educated followers of a homegrown militant outfit who found extremism "fashionable", denying links to the Islamic State group. The Islamic State group have claimed responsibility for the attack, saying it had targeted a gathering of "citizens of crusader states" at the Western-style cafe July 1, 2016 at night. But Home Minister Asaduzzaman Khan told AFP the killers -- six of whom were shot dead in the siege -- were members of the homegrown militant outfit Jamaeytul Mujahdeen Bangladesh (JMB), a group banned over a decade ago. / AFP PHOTO / -

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 04/07/16

Individualisti e privi di una conoscenza dell'Islam autentico. Ma uccidono in nome di Allah. Ecco chi sono i rampolli del terrore

Gli attentatori di Dacca, quelli che hanno sparato, torturato e ucciso le vittime all’interno del ristorante Holey Artisan Bakery erano principalmente figli di famiglie benestanti, ragazzi che avevano studiato nelle migliori scuole. Figli di docenti, alti funzionari dello Stato, medici, politici.

Ragazzi ricchi, certamente viziati, abituati a vivere nel lusso, nell’agiatezza, educati a diventare le migliori leve del Paese (Intelligonews, 4 luglio).

Stavolta i terroristi sono figli del benessere, della ricchezza, della cultura e del progresso civile. Ragazzi che a scuola sono stati educati a crescere all’occidentale.

BENESTANTI E “OCCIDENTALI”

Quello sviluppo e quel progresso in cui stavano dentro con tutti e due piedi i terroristi ventenni responsabili della strage di Dacca, giovani che entrati nel ristorante hanno ucciso proprio quegli occidentali che con il loro lavoro contribuivano ogni giorno allo sviluppo del Bangladesh, uccisi senza pietà perché colpevoli di non conoscere i versetti del Corano.

Giovani che trascorrevano parte delle loro giornate sui social network a maturare le loro idee religiose o presunte tali come mostrano le fotogallery con i loro profili di facebook, divulgate dai media di tutto il mondo. «L’arruolamento è una moda», è arrivato a sentenziare il governo del Bangladesh (La Stampa, 3 luglio)

NON CONOSCONO IL CORANO

Il primo dato è che questa schiera di terroristi agisce sotto l’effetto di una male interpretata fede religiosa. Come scrive Tahar Ben Jelloun su La Repubblica (4 luglio) questa violenza non è mai giustificata dal discorso musulmano. Al contrario, il Profeta, anche quando era sotto attacco, ripeteva incessantemente ai suoi soldati di non commettere crimini. Vietava alle donne e agli adolescenti di partecipare alla guerra.

Diceva anche ai soldati che in battaglia non bisogna distruggere le case né uccidere donne e bambini o disturbare i religiosi raccolti in preghiera. La sua saggezza e la sua filosofia sono ignorate dai jihadisti di oggi

Quindi se non è l’Islam più autentico ad essere interpretato nelle “gesta” dei jihadisti, da cos’altro si muove la loro ira assassina anti-occidente?

QUESTIONE DI OPPORTUNITA’

Una risposta interessante arriva dalle tesi di Olivier Roy, che su Le Monde (27 settembre 2015) ha provato a spiegare chi sono i jihadisti che hanno azionato il terrore in Francia e Belgio.

La collaborazione tra questi giovani e l’Is è semplicemente una questione di opportunità, sentenzia il politologo e orientalista. Gli stessi giovani si erano legati ad Al Qaeda e prima ancora al Gia algerino, o avevano seguito un nomadismo jihadista individuale tra Afghanistan, Bosnia e Cecenia. Domani combatteranno per un’altra bandiera, a meno che la morte in battaglia, la vecchiaia o la disillusione non svuotino i loro ranghi.

“ISLAMIZZAZIONE DEL RADICALISMO”

Quasi tutti i jihadisti francesi, evidenzia Roy, appartengono a due categorie: i francesi di seconda generazione nati in Francia o arrivati quando erano bambini e i convertiti, che già nel 1990 costituivano il 25 per cento degli estremisti e che continuano ad aumentare. Questo significa che tra gli estremisti non esiste una prima generazione, ma soprattutto non esiste una terza generazione.

Questa non è la rivolta dell’islam o dei musulmani, ma un problema che riguarda due categorie di giovani. Non è una radicalizzazione dell’islam, ma un’islamizzazione del radicalismo, è la tesi dell’esperto di questioni politiche orientali. La loro è prima di tutto una rivolta generazionale. Entrambe le categorie hanno rotto i ponti con i loro genitori e con tutto ciò che rappresentano in termini di cultura e religione.

LA DERIVA SALFITA

I francesi di seconda generazione non aderiscono all’islam dei loro genitori, ritenuti «cattivi e perdenti» (www.spiked-online.com, 4 luglio). Sono occidentalizzati e parlano francese perfettamente, osserva Roy. Hanno condiviso la cultura giovanile della loro generazione, hanno bevuto alcol, fumato hashish, rimorchiato ragazze. Molti di loro sono stati almeno una volta in prigione, e poi un bel mattino si sono (ri)convertiti scegliendo l’islam salafita, ovvero un islam che rifiuta il concetto di cultura, un islam della regola che gli permette di ricostruirsi da sé. Non vogliono la cultura dei genitori e nemmeno una cultura “occidentale”, che ormai è il simbolo del loro odio verso se stessi.

RELIGIONE TRASMESSA MALE

La chiave della rivolta è la mancata trasmissione di una religione culturalmente integrata. Questo individualismo forsennato si ritrova nel loro isolamento rispetto alle comunità musulmane. Pochi frequentano una moschea e i loro imam sono spesso autoproclamati. Quindi non gli interpreti di un islam autentico.

LEGAME TRA FRANCIA E BANGLADESH

Nell’analisi di Roy si intravede un comune denominatore nichilista tra le azioni dei giovani terroristi di Francia e Bangladesh, in cui il fattore sostanziale per spiegare il jihadismo è il nichilismo dei giovani, mentre l’ideologia salafita-jihadista è un elemento accidentale (l’unica ideologia rimasta “sul mercato”, come dice lui stesso) che si sovrappone a una radicalizzazione preesistente.

LA TESI DI KEPEL

Secondo l’altro politologo francese Gilles Kepel, invece, almeno sul fronte francese il fattore sostanziale è proprio l’ideologia, mentre il nichilismo e il disagio giovanile sono il terreno su cui si innesta la mala pianta jihadista. Si tratta di due visioni opposte, ma non necessariamente contraddittorie (www.oasiscenter.eu, 27 aprile 2016)

La tesi di Kepel, esposta nel suo libro Terreur dans l’Hexagone (“Terrore nell’Esagono”, in Francia), è che l’ascesa del terrorismo coincida con la comparsa simultanea della terza generazione dell’Islam di Francia e di quella che lui chiama la “terza ondata jihadista”.

TRE EVENTI DECISIVI

Per comprendere l’intreccio di questi due fenomeni occorre tornare al 2005, anno “cerniera” in cui si collocano tre eventi decisivi: le rivolte nelle banlieue in Francia, che segnano «l’irruzione della generazione uscita dall’immigrazione postcoloniale come attore politico centrale»; la pubblicazione online de “L’appello alla resistenza islamica mondiale”, un testo dell’ideologo qaidista Abu Mus’ab al-Suri che «teorizza il terrorismo sul suolo europeo come principale vettore della lotta contro l’Occidente e identifica nella gioventù ‘male integrata’ il suo strumento privilegiato»; la nascita di Youtube e del web 2.0, che introduce nella galassia jihadista nuove forme di comunicazione e reclutamento.

Per alcuni anni, gli effetti della convergenza di questi tre fattori – disagio dei giovani musulmani, mutamento ideologico e ambiente tecnologico – rimangono latenti, fino a quando nel marzo del 2012, un giovane franco-algerino, Mohamed Merah, attacca prima quattro militari francesi, uccidendone tre, e poi assassina a sangue freddo tre bambini e un insegnante di una scuola ebraica di Tolosa. Secondo Kepel, quello che all’epoca sembra un episodio isolato è in realtà soltanto il preludio dell’ondata jihadista a venire.

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