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Come canta la Chiesa oggi?

‘Chant – Music For Paradise’ – Cistercian monks conquer pop music charts

© BERND THISSEN / AFP

Sixtine Fourneraut - pubblicato il 04/07/16

E se si cantasse la gloria di Dio? Il canto gregoriano

Mentre i vecchi libri di canti delle parrocchie con la copertina di cuoio ingialliscono tranquillamente sotto i banchi, Ecclesia Cantic ha riunito alla fine di maggio circa 500 giovani a Grenoble, in Francia.

Membri di coro o meno, il fatto è che questi giovani adorano cantare, e soprattutto cantare la gloria di Dio attraverso il canto polifonico (ovvero a quattro voci: soprano, contralto, tenore e basso). In questo modo testimoniano il rinnovamento del canto liturgico nella Chiesa, un canto che non fa tabula rasa del passato, ma si arricchisce con la sua lunga storia. Dal canto gregoriano ai canti carismatici, come canta la Chiesa di oggi? Ripercorriamo (in modo non esaustivo) le sensibilità musicali dei fedeli…

Il canto gregoriano

Canto per eccellenza della Chiesa universale, il gregoriano è stato coltivato come un tesoro prezioso da monaci e monache tra le mura delle loro abbazie.

È il canto proprio della liturgia romana, che accompagna la preghiera della Chiesa cattolica da secoli. Il Concilio Vaticano II lo definisce un “patrimonio d’inestimabile valore” (costituzione Sacrosanctum Concilium).

La particolarità di questo canto risiede nel suo carattere “monodico”, ovvero composto da un’unica voce. Un’altra caratteristica è il fatto che il gregoriano incorpora alla musica un testo sacro, tratto dalla Bibbia o da inni scritti in seguito (in latino).

“È una melodia straordinariamente fluida”, ha spiegato Olivier Bardot, docente al Conservatorio Superiore della regione di Parigi e professore di canto gregoriano e di polifonia presso il seminario della Comunità di Saint-Martin.

“Non ha misura, ovvero è di ritmo libero. Ha semplicemente il suo sostegno [nel tetragramma] e si sviluppa in base a tensioni – arsis – e distensioni – thesis –, come quando recitiamo una frase parlata, quando alziamo e abbassiamo il tono”.

L’Exultet – inno cantato all’inizio della veglia pasquale per proclamare la vittoria della luce sulle tenebre e annunciare la resurrezione di Cristo; in questo caso lo interpreta magistralmente il sacerdote carmelitano colombiano Alejandro Tobón:

Un canto per tutti

“È un canto sia per uomini che per donne”, ha segnalato Pema Suter, direttrice corale alla scuola Saint-Grégoire, che forma nel canto gregoriano laici e religiosi.

Ad ogni modo, riconosce che “il colore non è lo stesso”: “visto che le donne cantano in modo più acuto, bisogna evitare di cadere in qualcosa che suoni troppo angelicato”.

Chi arriva più tardi al gregoriano e ammette di non aver mai amato ascoltare dischi di canto gregoriano (!) scopre un repertorio appassionante attraverso la liturgia della Chiesa.

“Non è difficile formarsi nel gregoriano. Non importa chi siano, con un minimo di formazione musicale e di orecchio si può imparare a cantarlo”.

Richiede tuttavia “perseveranza e lavoro”. Perché? “Perché è un canto molto diverso dalle musiche moderne, e per questo serve un po’ di tempo per abituarsi”.


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I più reticenti devono sapere che “questo canto non è esclusivo dei più tradizionalisti”, come afferma Pema Suter. “Bisogna riconoscere che grazie a loro è sopravvissuto, e li ringrazio per questo, ma non serve che lo monopolizzino”.

Un piede nell’eternità

Qual è il segreto di questo canto e della forza spirituale che ne deriva?

Questi testi sono stati recitati prima di essere messi in musica, sono frutto della lectio divina (la meditazione prolungata di un testo biblico). L’origine della sua composizione risale a volte a molti secoli addietro. Dall’altro lato, molte delle opere sono state composte da monaci che avevano già un piede nell’eternità”, indica Olivier Bardot.

Un altro vantaggio è il fatto che le radici del gregoriano risalgano a canti di tempi molto antichi.

Derivano infatti dalla cantillatio dei salmi (la recita con diverse altezze della voce), che già esisteva tra gli ebrei prima della nostra era e ha persistito nelle prime comunità cristiane.

“L’obiettivo era che la persona che recita fosse udibile di fronte a un gran numero di persone, e valorizza diverse parti del testo sacro”, ha ricordato Bardot, che è anche professore di storia. Questo repertorio è stato trasmesso per via orale fino al IX secolo.

Si crede erroneamente che il nome del canto gregoriano derivi da papa Gregorio I Magno, grande riformatore della liturgia della fine del VI secolo.

“Le denominazioni di un fenomeno spesso si verificano molto tempo dopo”, ha spiegato. “Nel Medioevo si è scelta la figura prestigiosa di questo papa per dare ‘peso’ a questo canto di fronte al canto ambrosiano proveniente da Milano”. Molto astuto.

Il gregoriano propriamente detto è nato verso il 750. In quell’epoca, i lombardi invasero Roma, e papa Stefano II andò a cercare rifugio a Saint-Denis, in Gallia.

Scoprì allora un nuovo repertorio delle voci dei cantanti locali. Con l’aiuto di Pipino il Breve, fece fondere i repertori romano e gallicano, dando così origine al canto gregoriano.

Un po’ dopo Carlo Magno, d’accordo con il papa, imporrà questo canto come repertorio unico in tutto l’impero.

Le emozioni di un testo sacro

L’aspetto geniale del gregoriano è senza dubbio la sua capacità di trasmettere le emozioni prodotte dal testo sacro. Secondo Olivier Bardot, “le formule sono state scelte perché sottolineano il valore del testo o un effetto prodotto dal testo stesso”.

Ci commuovono perché sentiamo in modo molto corporale che c’è qualcosa al di là di noi, dell’ordine del misterioso”, ha aggiunto.

È un canto molto empirico, che risponde a emozioni profondamente radicate in noi, indipendentemente dalla nostra cultura”.

L’abbazia benedettina di Solesmes (Sarthe) è considerata la Mecca del canto gregoriano.

È lì che nella seconda metà del XIX secolo e con l’impulso del suo abate, Guéranger, i monaci “risuscitarono” il repertorio, caduto nell’oblio dalla fine del Medioevo.

Per monsignor Jacques-Marie Guilmard, ex direttore di coro, questo canto non è una forma di preghiera, ma è in se stesso una preghiera, ispirata dallo Spirito Santo, quello Spirito che ci fa gridare “Abbà” (Padre) per rivolgerci a Dio, come dice San Paolo (Rm 8, 15).


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Come afferma questo monaco, il cui cuore è stato modellato dai cantici sacri, “il gregoriano è un canto di meditazione che assume la forma di tutte le forme di preghiere possibili: adorazione, lode, supplica, deprecazione (richiesta di perdono), ecc.”

Questa preghiera non è “folcloristica”, avverte, ma “una preghiera completa”, che unisce tutta la Chiesa nello spazio e nel tempo.

Fondata da monaci di Solesmes, l’abbazia di Keur Moussa, in Senegal, ha adattato il canto gregoriano con ritmi africani:

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