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“Sì al dialogo con i narcos, ma senza scendere a patti”

Vatican Insider - pubblicato il 02/07/16

Dialogare con i narcos? Si può. E si deve. Ne è convinto un vescovo messicano che davanti all’impotenza, e in certi casi complicità, dello stato nella lotta alla criminalità dei cartelli della droga vede nel dialogo l’unica strada per ridurre il più possibile assassini, sparizioni, sequestri ed estorsioni. 

L’eterno dilemma delle democrazie rappresentative se sia lecito scendere a patti con il diavolo monsignor Salvador Rangel Mendoza vescovo dell’agitata diocesi di Chilpancingo, nello stato di Guerrero, lo risolve così: “La Chiesa ha sempre promosso il dialogo, perché senza dialogo non ci può essere pace. Per questo bisogna dialogare con chi si dedica al narcotraffico, ma senza fare nessuna concessione. Dialogare, non scendere a patti” ribadisce con foga temendo, e c’è ben motivo, di venire frainteso: “Che questo sia chiaro; con loro non si devono fare patti, ma arrivare a certi accordi”, arreglos, nella lingua che gli è propria. 

Intervistato dal giornalista Rodrigo Vera del principale settimanale messicano, Proceso, sugli obiettivi del dialogo il vescovo non tentenna: “In primo luogo evitare tanti assassinii, estorsioni e altre prepotenze, fermare questo orribile bagno di sangue, soprattutto di gente innocente”.  

Mendoza è un francescano che prima del Messico di situazioni difficili ne ha viste tante. Per sette anni è vissuto in Israele svolgendo lì il suo ministero pastorale “tra morti, bombardamenti, esplosioni, attacchi aerei e tutte le altre atrocità che accompagnano la guerra”. Forte di un tale curriculum acquisito sul campo da sette mesi Papa Francesco l’ha mandato in Messico come titolare di una diocesi che non ha nulla da invidiare a quelle di certe aree del Medio Oriente. Lo stato di Guerrero è uno dei territori più violenti del Messico, con un indice di omicidi al di sopra della media nazionale. Lì sono scomparsi, e uccisi, i 43 studenti nel settembre del 2014, lì sono state ritrovate decine di fosse comuni di scomparsi giustiziati dai killer del narcotraffico. Alcune zone sono letteralmente controllate da quei narcos che il vescovo pro-dialogo vuole condurre all’ovile e lo sa: “Ci sono territori governati dai narcos” dichiara. “E mi lascia ammirato che lì non ci sono assassinii, sequestri, estorsioni. Persino ai giovani non viene permesso drogarsi, anche se non potrebbero farlo neppure volendo; l’oppio che estraggono dalla amapola e che coltivano ha bisogno di essere trattato”. E per completare il quadro idilliaco ricorda le confidenze di un parroco del luogo: “Mi raccontava che quando c’è qualche ubriaco in strada loro stessi lo raccolgono e lo portano in un centro di riabilitazione”. Rangel Mendoza non è sorpreso che la gente del posto si schieri dalla loro parte. «Nella sierra, lì verso Tlacotepec e Yextla” precisa il monsignore, “la gente mi dice: “Appoggiamo i narcos perché si prendono cura di noi; possiamo andare per strada di notte sicuri”. Finché arriva la violenza di altri narcos che disputano ai primi il controllo del traffico, e i morti si contano a decine nelle strade. 

Francescano come i primi che nel 1523 sbarcarono sulle coste del Messico al seguito di Motolinia e compagni monsignor Salvador Rangel Mendoza rivendica “la promozione della pace” come una prerogativa peculiare del proprio ordine religioso. «Il fondatore, San Francisco, diceva: “Signore dove c’è odio che io semini amore”. E’ quello che sto cercando di fare nella diocesi» assicura. 

Non usa mezzi termini con le forze dell’ordine: “L’esercito e la polizia statale sono lì per adornare le strade. Si piazzano nell’Autopista del Sole che va verso Acapulco o verso Chilapa e altre strade principali per rassicurare i turisti, ma non si mettono in posti più appartati, intricati”. Nelle sue visite pastorali monsignor Salvador Rangel Mendoza ha convissuto con i contadini che coltivano amapola. “Vivono nell’emarginazione e in condizioni molto precarie. Sembrano degli animali rinchiusi, che non possono uscire. Molti lavorano raccogliendo la gomma di oppio che al contatto con l’aria diventa nera e sporca le mani, facendogli cadere le unghie. Lavorano l’amapola perché non hanno alternative, è l’unico modo per loro di sopravvivere”. 

Monsignor Salvador Rangel Mendoza assicura di non avere avuto rapporti formali con i narcotrafficanti: “No, ancora no. Direttamente no”. Poi ci tiene a dire che tutti i vescovi dello stato di Guerrero hanno un’unica posizione “a favore del dialogo, che abbiamo espresso con comunicati stampa”. 

Per il settimanale Proceso l’episcopato messicano avrebbe scelto il modello di azione dei confratelli della Colombia e starebbe seguendo lo stesso schema, riassunto in tre passi: l’apertura di “centri d’ascolto” che fornirebbero assistenza spirituale, psicologica e giuridica alle vittime della violenza con gruppi di sacerdoti, psicologi, avvocati e laici; l’apertura delle denominate “scuole del perdono” con l’obiettivo di riunire le vittime con i loro carnefici; l’inizio di un dialogo con i cartelli della droga per pacificare i territori maggiormente sconvolti dalla violenza. 

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