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Nascosto in una chiesa della Val d’Ossola il drappo funebre del Re Sole

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Vatican Insider - pubblicato il 02/07/16
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Era il settembre 1715 quando – dopo sett’anni di regime autoritario – il popolo francese festeggiò la morte del Re Sole profanando la cappella della basilica di Saint Denis a Parigi dove il feretro del sovrano era stato ricomposto. Resta però un mistero il motivo per cui un secolo dopo il drappo funebre di Luigi XIV venne acquistato dalla parrocchia di un paese della valle Vigezzo, dove ancora oggi è gelosamente conservato. Nella chiesa di Craveggia – borgo dell’Ossola che conta poco più di 700 abitanti – c’è anche il velo nuziale appartenuto a Maria Antonietta, oltre a dipinti e altre opere di valore arrivate dalla reggia di Versailles. 

L’arrivo di questi tesori in Ossola è legato alle storie degli emigranti. La valle Vigezzo è stata per secoli terra di spazzacamini, maestri legnamari e profumieri, che si trasferirono in cerca di fortuna all’estero, in particolare in Francia e Germania. Alcuni fecero strada, come Giovanni Paolo Feminis e Giovanni Maria Farina, che inventarono e divulgarono l’Acqua di Colonia. La leggenda tramanda poi che un bambino vigezzino impegnato a pulire i camini del Louvre nel 1612, sventò una congiura ai danni di Luigi XIII, ottenendo in cambio della lealtà la protezione per tutti gli emigrati ossolani, che da allora poterono sfruttare condizioni privilegiate per commerciare. Pur lontani da casa – e spesso con più soldi in tasca di quando erano partiti – non dimenticarono la loro terra d’origine. Fu così che giunsero a Craveggia gli oggetti che compongono oggi il tesoro, custodito nella chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, ampliata nel 1714, quando una famiglia di Roma fece portare in valle le ossa di San Faustino.  

Fu la parrocchia, tramite la famiglia Gallanty, originaria della valle Vigezzo e emigrata in Francia, a commissionare l’acquisto del drappo funebre del Re Sole, caratterizzato da sei medaglioni ricamati in gobelins che raffigurano scene della Passione e delle Resurrezione. Il motivo di questa scelta è nascosto nelle carte degli archivi parrocchiali, ancora da studiare: ad attestare però l’autenticità del drappo c’è il certificato d’acquisto. Una decina di anni fa alcune docenti della Scuola di Belle Arti di Brera di Milano sono intervenute nella sistemazione all’interno della sagrestia degli oggetti e dei tessuti, conservati nei cassetti, perché l’esposizione e i raggi del sole potrebbero danneggiarli. 

Più incerto è il percorso che ha portato in valle Vigezzo il manto nuziale di Maria Antonietta: lungo venti metri, in seta pesante «operata», poi riutilizzato per realizzare paramenti sacri, poiché i rivoluzionari – in sfregio alla regina e ai suoi eccessi – lo avevano rovinato.  

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Una parrocchiana, Liliana Poggini, da anni si prende cura di quel patrimonio e organizza, con il Comune, visite guidate.  

Tutto quello che si può ammirare nella chiesa di Craveggia si deve alla generosità degli abitanti e dei villeggianti, a partire dal pittore Giuseppe Mattia Borgnis che affrescò gli interni e donò due sue opere, ai numerosi discendenti della famiglia Mellerio. Pioniere di questa famiglia fu Giovan Battista, che emigrò in Francia per fare fortuna come venditore ambulante e fu poi il capostipite della nota famiglia di gioiellieri, gli orefici di fiducia della regina Maria Antonietta, dell’imperatrice Giuseppina Bonaparte e in tempi più recenti dei reali d’Inghilterra. 

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