Se mai ci sarà un accordo tra Cina popolare e Santa Sede, esso avrà di certo «l’approvazione del Papa». Eppure i cattolici cinesi non saranno tenuti a prenderlo in considerazione, se ritengono «in coscienza» che esso sia «contrario al principio della fede». Parola del cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong.
Come è noto, all’anziano porporato non piace il tipo di pax sino-vaticana che sembra prender forma nei contatti in corso tra funzionari cinesi e officiali vaticani, confermati anche da Papa Francesco. Così, rompendo ogni indugio, l’alto prelato salesiano incalza i cattolici cinesi a imboccare la via della dissociazione silenziosa anche rispetto a eventuali misure e prassi che fossero ufficialmente approvate dal Vescovo di Roma, come extrema ratio per dribblare le implicazioni di un possibile, futuro inizio di intesa tra Pechino e la Sede apostolica.
L’appello è stato lanciato da Zen sul suo blog personale: «Fratelli e sorelle del Continente, dobbiamo farci onore!» , scrive il cardinale con tono perentorio, rivolto ai cattolici della Repubblica popolare cinese. Nelle prime righe, il porporato inquadra subito i suoi bersagli polemici: sono quelli «che stanno dalla parte del governo», e «gli opportunisti della Chiesa», i quali «sperano che la Santa Sede firmi un accordo per legittimare l’attuale situazione anomala». Costoro – sostiene Zen – negli ultimi tempi gridano che bisogna essere «pronti ad ascoltare il Papa», e obbedire «a tutto quello che lui dirà». Addirittura, gli stessi ipotizzano che il rifiuto di scelte approvate dal Papa potrebbe arrivare proprio da alcuni tra quelli che hanno sempre rivolto verso altri il rimprovero di scarsa fedeltà al Papato e alla Chiesa di Roma.
Davanti a questi nuovi scenari, Zen invita innanzitutto a «mantenere la calma», e poi dispensa ai fratelli e alle sorelle «continentali» linee guida e accorgimenti per affrontare questo momento delicato, in attesa di tempi migliori. Premette che nella Chiesa «l’autorità suprema è il Papa, Vicario di Cristo in terra». Ricorda che per tanti anni, soprattutto durante il pontificato di Papa Benedetto, lui stesso diceva a destra e a manca «che la Santa Sede non rappresenta il Papa». Ma certo, se un giorno tra la Cina e la Santa Sede «venisse firmato un accordo ufficiale– riconosce Zen -, allora sicuramente quell’accordo avrebbe l’approvazione del Papa». In tale eventuale circostanza – suggerisce in via preliminare il vescovo emerito di Hong Kong, delineando quale dev’essere il modus operandi – «Qualsiasi cosa viene approvata dal Papa, noi non la dobbiamo criticare». Va evitata ogni reazione che possa essere riconosciuta e additata come una critica diretta al Successore di Pietro. Ma «di certo» aggiunge subito Zen «in fin dei conti è la coscienza il criterio ultimo per giudicare del nostro comportamento. Quindi, se secondo la vostra coscienza il contenuto di qualsivoglia accordo è contrario al principio della nostra fede, non lo dovete seguire». Come base d’appoggio per l’evocata dissociazione rispetto a eventuali accordi tra la Cina e la Santa Sede approvati dal Papa, Zen chiama in causa – riproponendole in una libera sintesi, non collimante con il testo originale – le parole della Lettera di Papa Benedetto XVI ai cattolici cinesi (giugno 2007), dove si dichiara che i princìpi di autonomia, indipendenza, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa, perseguìti dalla Associazione patriottica e dagli altri organismi “patriottici” ispirati dagli apparati politici cinesi, sono «inconciliabili» con la dottrina cattolica. «Voi» prescrive il cardinale ai “fratelli e sorelle del Continente” – «non dovete assolutamente mai aderire all’Associazione Patriottica». Nella parte finale del suo breve messaggio, l’anziano porporato pronostica un futuro catacombale per quelli che non vorranno accettare l’accordo tra Cina e Santa Sede, e a suo giudizio dovranno essere pronti a rinunciare alla pratica pubblica dei sacramenti e della vita ecclesiale che oggi connotano e alimentano la condizione ordinaria dei cattolici cinesi.
«Nel futuro» spiega Zen, equiparando gli effetti di un possibile accordo Cina-Vaticano alle condizioni vissute dai cristiani cinesi negli anni bui e cruenti della Rivoluzione Culturale «c’è da temere che non avrete più un posto pubblico per pregare, ma potrete pregare in casa; e anche se non ci fosse l’opportunità di ricevere i sacramenti, il Signore Gesù verrà ugualmente nel vostro cuore; e se anche non fosse più possibile fare il prete, potete anche tornare a casa a coltivare i campi. Il prete rimane prete per sempre». Il messaggio di Zen finisce con una rassicurazione: la “resistenza” da lui prospettata davanti all’eventuale accordo tra Pechino e la Sede apostolica potrebbe essere breve: «La Chiesa primitiva» scrive il cardinale nativo di Shanghai «ha dovuto aspettare 300 anni. Non penso che noi dovremo aspettare così a lungo. L’inverno sta per finire».
Il richiamo del cardinale Zen a ignorare eventuali scelte future approvate dal Papa rappresenta uno “strappo” annunciato, dopo la ventennale mobilitazione dell’alto Prelato di Hong Kong contro tutti i passi intrapresi dalla Sede apostolica sul terreno dei rapporti tra apparati cinesi e Chiesa cattolica che non rientravano nella sua griglia di pensiero. L’armamentario di battaglia del cardinale 84enne comprende la delegittimazione delle posizioni non condivise – da lui presentate sempre come ambigue e cedevoli sul piano della sana dottrina, infilzate col sospetto di presunti “opportunismi” e “connivenze” interessate col potere cinese – e soprattutto una rappresentazione fissa e preconfezionata della vicenda del cattolicesimo cinese degli ultimi 70 anni, intenta a occultare tutti i dati di realtà che non sono funzionali alla “lotta continua”. Ad esempio, per riconoscere come pretestuosa l’obiezione “di coscienza” invocata davanti a eventuali accordi sino-vaticani approvati dal Papa, tacciati a priori di “condiscendenza” verso gli organismi “patriottici” costruiti dal potere cinese, basterebbe ricordare che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, durante i rispettivi pontificati, hanno legittimato o direttamente nominato decine di vescovi cinesi che con quegli stessi organismi mantenevano rapporti ordinari, fin addirittura a ricoprire all’interno di essi cariche di rilievo. Per Papa Wojtyla e Papa Ratzinger, l’appartenenza formale di quei vescovi all’Associazione patriottica dei cattolici cinesi non è mai stata di per sé un impedimento alla piena e riconosciuta comunione sacramentale e gerarchica tra quegli stessi vescovi e il Successore di Pietro. E nessuno impose a quei vescovi l’uscita formale dall’Associazione patriottica come condizione per ottenere il mandato pontificio al proprio ministero episcopale. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno sempre indicato la via del dialogo, e non quella della contrapposizione, come strumento per provare a risolvere i problemi vissuti dal cattolicesimo cinese nei rapporti con le autorità civili.
Sia come sia, nel momento delicato che si sta vivendo sul terreno dei rapporti sino-vaticani, le indicazioni esternate dal cardinale Zen chiamano in causa tutti, a cominciare da tutti i cattolici cinesi: vescovi e preti, religiosi e laici, cosiddetti “ufficiali” e cosiddetti “clandestini”. Ognuno, nella libertà della propria coscienza illuminata dalla fede, potrà essere chiamato a far di nuovo tesoro di quel sensus fidei che nell’ex Celeste Impero è stato custodito anche nei tempi tribolati della persecuzione cruenta. Lo stesso sensus fidei di cui è sempre segno e conforto anche la comunione reale con il vescovo di Roma, Successore di Pietro.
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