Bastava guardarli, mezzogiorno di martedì 28 giugno, il Papa e il suo predecessore oggi emerito. Bastava soffermarsi sullo sguardo di Benedetto XVI, con il volto sempre più affilato dall’età, quando ascoltava le parole di Francesco. E bastava osservare lo sguardo di Francesco verso il Papa emerito, che al termine della cerimonia per i suoi 65 anni di sacerdozio ha pronunciato un breve ringraziamento a braccio che si percepiva sgorgargli dal cuore.
Le parole pronunciate da entrambi hanno detto molto di più di tante elucubrazioni fanta-teologiche sul ministero petrino «condiviso», di tante arrampicate sugli specchi canonistiche sul «munus» del Vescovo di Roma distinguibile dal suo «esercizio» concreto, di tante teorie complottiste su Benedetto «costretto» a rinunciare e dunque in realtà ancora Papa, che ancora appassionano gruppuscoli pseudo-ratzingeriani sempre più sedevacantisti e i loro corifei.
«Lei, Santità – ha detto Francesco a Ratzinger – continua a servire la Chiesa, non smette di contribuire veramente con vigore e sapienza alla sua crescita; e lo fa da quel piccolo monastero Mater Ecclesiae… dal quale promana una tranquillità, una pace, una forza, una fiducia, una maturità, una fede, una dedizione e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno tanta forza a me ed a tutta la Chiesa. E di lì, mi permetto di dire – ha aggiunto a braccio il Pontefice – viene anche un sano e gioioso senso dell’umorismo». Non essendo più Papaa motivo della sua rinuncia, sulla cui validità, come aveva egli stesso scritto in una lettera pubblicata su La Stampa, «non c’è il minimo dubbio», Benedetto XVI continua a servire la Chiesa pregando e così aiuta il suo successore. Non passi inosservato quell’inciso a braccio di Francesco a proposito dell’«umorismo» che promana dal monastero Mater Ecclesiae: lascia intendere che negli scambi, negli incontri, nelle telefonate e nelle lettere il Papa emerito mostri una capacità distacco e di sana ironia, probabilmente anche rispetto al ruolo che certi suoi ammiratori gli attribuiscono arrivando persino a contraddire la realtà dei fatti.
Quando è stato il suo turno, per un ringraziamento finale, il Papa emerito non ha tirato fuori dalla tasca un foglio con un pensiero scritto, ma ha parlato a braccio, con voce flebile e bassa, ma con la lucidità di sempre.
Ha ricordato la parola in greco, “Eucharistomen”, che 65 ani fa un suo compagno di ordinazione volle stampare sull’immaginetta: grazie! Quindi ha ringraziato in modo particolare Francesco: «Grazie soprattutto a lei, Santo Padre! La sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente. Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, di tutto. E speriamo che lei potrà andare avanti con noi tutti su questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, verso Gesù, verso Dio».
Poi, dopo aver ringraziato i cardinali Müller e Sodano, è tornato sulla parola «Eucharistomen», che «ci rimanda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trasformato in ringraziamento, e così in benedizione, la croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così fondamentalmente ha “transustanziato” la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore».
Guardando ciò che è avvenuto ieri è apparso chiaro agli occhi di tutti l’affetto sincero che Benedetto prova nei confronti del suo successore e, viceversa, l’affetto sincero che il Papa prova per il suo predecessore. Ascoltandoli entrambi, poi, non si poteva non percepire anche la distanza talvolta siderale che esiste tra lo sguardo e l’approccio umile di Ratzinger e quello di tanti sedicenti «ratzingeriani» che ne hanno cementificato l’insegnamento in una visione tutta «Law & Order». Così come una distanza simile esiste tra lo sguardo e l’approccio di Francesco e quello di tanti sedicenti «bergogliani» che ne riducono la testimonianza a slogan e parole d’ordine svuotate di significato e di carne.