Nella sua vita non c'è niente che mi sembri prezioso, ma Dio vede di più
La prima volta che ho incontrato la mia vicina Sue è stato perché mio figlio di un anno aveva appena imparato a dire “cane” e non potevo deluderlo non passando davanti al suo volpino di Pomerania durante la nostra passeggiata quotidiana. Sue era esile e senza denti, con i capelli incolore, e parlava a raffica. Lasciava le frasi incomplete saltando di palo in frasca. Le sue storie erano piene di dettagli, ma non di quelli che danno coerenza al racconto.
Quando ci incontravamo per la strada ci fermavamo e parlavamo, di niente in particolare. Sembrava felice di avere qualcuno che la ascoltasse, e allora mi impegnavo a fermarmi e a parlare se le nostre strade si incrociavano.
Qualche giorno fa ha accostato accanto a me mentre era nella sua grande station wagon nera, ha abbassato il finestrino e ha iniziato a raccontarmi la storia della sua vita, proprio lì, in mezzo alla strada. Era sfuggita da poco a dieci anni di matrimonio con un uomo che la picchiava ogni giorno, le ha fatto saltare la maggior parte dei denti, la rinchiudeva in armadi e garage, la nutriva con pane e ginger ale quando le andava bene e abusava verbalmente di lei al punto da annichilire il suo ego. In vari momenti della conversazione ha parlato del suo disturbo da stress post-traumatico, del suo cancro non curato in fase avanzata, dell’infertilità provocata dal trauma e delle sue forti emorragie interne.
Mi ha detto che non le avevano riferito quando suo padre era morto e che non le era stato permesso di partecipare al suo funerale, ma era riuscita a scrivere sulla finestra con un pezzo di sapone “IL MIO PAPÀ È MORTO 🙁 :(” prima che il marito riuscisse a fermarla.
Quella notte mi sono svegliata cinque volte, lacerata dentro perché non avevo mai incontrato una tale povertà assoluta, a livello mentale, fisico ed emotivo. Ma so anche che non ho niente da offrire che possa guarirla o aiutarla. Mio Dio, quanto vorrei poterlo fare, e mio Dio, quanto voglio bene a questa mia sorella.