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Il Papa nell’Armenia dimenticata

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Vatican Insider - pubblicato il 24/06/16
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Papa Francesco parte questa mattina per il suo quattordicesimo viaggio internazionale, una visita a un Paese dimenticato: l’Armenia. È stata la prima nazione a diventare cristiana, e ancora vive schiacciata dalle ombre di un passato tremendo, il massacro sistematico di un milione e mezzo di persone avvenuto cent’anni fa per mano turca. Ma anche il presente non manca di insidie, a motivo delle tensioni tutt’oggi esistenti alla frontiera con la Turchia e, dall’altra parte, a quella con l’Azerbaigian, per il controllo dell’enclave del Nagorno-Karabak popolata per lo più da armeni. Proprio per questo quasi la metà del bilancio statale se ne va per le spese del ministero della Difesa e gli armamenti utilizzati per vigilare la frontiera. In questo momento, anche a motivo della crisi economica, il Paese soffre.

Papa Francesco è amico di vecchia data degli armeni: la comunità di argentina aveva trovato nell’arcivescovo di Buenos Aires un sostenitore. Il cuore del suo viaggio è innanzitutto ecumenico: manifestare la vicinanza e collaborazione con la Chiesa apostolica armena guidata dal Catholicos Karekin II. È significativa, a questo proposito l’ospitalità offerta al Pontefice nel palazzo apostolico di Etchmiadzin, il «Vaticano» armeno. Bergoglio, nei tre giorni e due notti della trasferta, come peraltro già accaduto quindici anni fa in occasione della visita di Papa Wojtyla, dormirà nel palazzo di Karekin II.

Tra le tappe più suggestive del viaggio c’è sicuramente la visita nella mattina di sabato al Tzitzernakaberd Memorial Complex, il memoriale del «Grande Male», il genocidio armeno del 1915.  Francesco nell’aprile 2015 volle commemorare lo sterminio del centenario con una celebrazione in San Pietro. In quella occasione, pur citando le parole contenute nella dichiarazione congiunta firmata da Giovanni Paolo II e da Karekin II nel 2001, aveva definito quello armeno come «il primo genocidio del XX secolo». Parole che avevano provocato forti tensioni diplomatiche tra Vaticano e Turchia. Benedetto XVI, al contrario di Papa Wojtyla, non usò mai la parola «genocidio».

Al termine del viaggio, domenica, era stata annunciata la firma di una Dichiarazione comune tra Francesco e Karekin II. Ma nei giorni scorsi il portavoce vaticano padre Lombardi ha detto che «attualmente» non è in programma. È probabile che non ci sia stata intesa sulle parole da usare in merito al «Grande Male». Le autorità armene speravano infatti in una aperta e diretta condanna dell’atteggiamento negazionista della Turchia. Ma il Papa, con quello che sta accadendo in Medio Oriente e con il dramma dei rifugiati, non vuole aggiungere benzina sul fuoco: il viaggio è religioso, non politico. E la memoria dei massacri patiti dagli armeni avverrà innanzitutto attraverso la preghiera.

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