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Magistero e primato della parola pronunciata su quella scritta

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Vatican Insider - pubblicato il 21/06/16
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Anche se fresco di stampa, il libro è stato scritto molto prima delle recenti polemiche e interpretazioni sollevate da alcuni sull’esortazione apostolica «Amoris laetitia». Non si tratta dunque di un libro dedicato a questo né più in generale al pontificato e al magistero di Papa Francesco. Eppure «Oralità e magistero. Il problema teologico del magistero ordinario» (D’Ettoris editore, Crotone 2016) scritto dal teologo don Pietro Cantoni, libro specialistico con robusto apparato di note, può rappresentare un utile sussidio per quanti vogliano schiarirsi le idee in merito a che cosa sia o non sia magistero.

L’autore fa notare come nella Chiesa cattolica via sia un primato originario dell’oralità rispetto al testo scritto. Gesù Cristo, al contrario di altri fondatori di religioni, non ha scritto un libro, non ha lasciato una raccolta di massime o di ammonimenti. Ha lasciato piuttosto dei testimoni viventi, cioè coloro che avevano condiviso con lui gli anni della vita pubblica, essendo testimoni della sua morte e resurrezione. Che il criterio della testimonianza oculare sia fondamentale emerge molto bene dal brano degli Atti degli Apostoli nel quale viene descritto il modo in cui si sceglie chi cooptare tra i dodici dopo la morte di Giuda. Il criterio è quello di esserci stati, presenti e testimoni di ciò che Gesù ha operato.

A questo primato dell’oralità è necessario ricorrere per comprendere che cosa siano l’autorità e il Magistero nella Chiesa. Don Cantoni spiega inoltre che cosa sia la Tradizione, particolarmente sottolineata dal Concilio di Trento accanto alla Scrittura. Ma così facendo i padri del Tridentino non avevano voluto affiancare un nuovo libro a quello già esistente della Bibbia, quasi raddoppiando i libri sacri, come se la Tradizione fosse un secondo necessario manuale d’uso che chiunque può consultare alla bisogna e applicare. Anche in questo caso, spiega l’autore, l’oralità è importante. E dunque se è vero che la Tradizione vivente della Chiesa si esprime anche attraverso i documenti, essa parla soprattutto attraverso l’insegnamento quotidiano dei Pontefici.

Recensendo il volume sul Sussidiario.net, il sociologo Massimo Introvigne ha proposto a questo riguardo un’esemplificazione che non è contenuta nel libro: «Chi protesta contro lo stile per molti versi nuovo di Papa Francesco che di rado propone definizioni ma si esprime attraverso la narrativa, la storia, l’aneddoto, l’omelia non comprende che questo modo di trasmettere l’insegnamento della Chiesa è in effetti eminentemente “tradizionale” e corrisponde proprio al primato dell’oralità».

Il saggio di don Cantoni approfondisce inoltre la distinzione tra Magistero straordinario e ordinario e l’infallibilità.

È notorio che le definizioni infallibili nella storia della Chiesa sono quanto mai rare. Durante il Concilio Vaticano I, che sancì il dogma dell’infallibilità pontificia, lo stesso Pio IX seguì la linea mediana, grazie alla quale vengono notevolmente ristrette e circostanziate le caratteristiche indispensabili per un pronunciamento infallibile. L’ultimo dogma proclamato è l’Assunzione di Maria (1950). Però al di fuori delle poche definizioni infallibili non si entra nel campo di una “fallibilità” che autorizzerebbe chiunque a fare un po’ come gli pare, magari decidendo lui stesso ciò che è Magistero e ciò che non lo è. Pur non essendo definitivi e dunque per loro natura riformabili, gli insegnamenti quotidiani dei Papi vanno accolti e seguiti. In particolare ciò riguarda le lettere encicliche, a prescindere da quale sia la materia di cui trattano e il loro linguaggio.

«L’infallibilità in senso stretto – scrive Cantoni – è quella che attiene alle definizioni dogmatiche straordinarie. È l’infallibilità che si concentra in una proposizione (un giudizio). È molto rara. Riguarda gli articoli del Credo e le definizioni dogmatiche straordinarie portate dai concili ecumenici (per es. Nicea, Efeso, Calcedonia, Trento, Vaticano I) o dai Papi soli (per es. Pio IX, costituzione apostolica Ineffabilis Deus dell’8 dicembre 1854 e Pio XII, costituzione apostolica Munificentissimus Deus del 1° novembre 1950), che hanno però sempre verificato previamente il consenso della Chiesa universale prima di decidersi a compiere un atto di tale portata. Poi c’è l’infallibilità che riguarda il magistero ordinario, la quale attiene all’insegnamento in senso “globale”, riguarda un discorso più o meno articolato, non un giudizio isolato».

«La possiamo chiamare – propone l’autore – “inerranza”, perché, se il soggetto è il collegio dei vescovi con a capo il papa, non dobbiamo, né possiamo pensare che sia caduto in errore circa la fede. Se ciò avvenisse verrebbe meno l’indefettibilità della Chiesa e la promessa di definitività escatologica che la connota». Tra gli esempi citati c’è quello, particolarmente controverso in ambiente cosiddetto tradizionalista, della dichiarazione conciliare Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, che affermando il diritto alla libertà religiosa come fondato «realmente sulla stessa dignità della persona umana, quale si conosce, sia per mezzo della parola di Dio rivelata sia tramite la stessa ragione» lo ancora alla Rivelazione stessa.

«Abbiamo constatato – scrive l’autore nelle conclusioni del libro – come tutto l’itinerario percorso ci abbia condotto a questo inevitabile recupero, che ci permette forse di dare un significato nuovo, nella nostra percezione, a termini come “magistero” ed “infallibilità”. Se rimaniamo prigionieri di quel diffuso e nascosto nominalismo-concettualismo sotteso ad una riflessione che ha smarrito il suo fondamento spontaneo, orale e vivente, allora cerchiamo spasmodicamente la certezza in una proposizione scritta ‘vera a priori’ e ci smarriamo in una “dogmatizzazione del dogma”. Così infatti può essere frainteso il dogma definito dal concilio ecumenico Vaticano I».

«Se invece teniamo fisso lo sguardo su quello che è il fondamento di ogni discorso – continua Cantoni – il “parlante” allora troviamo ciò che è reale e – dato il contesto – vivente. Il giudizio definitivo, il dogma definito solennemente si concentra tutto in una proposizione. La riflessione teologica lo ha descritto come il momento stra-ordinario dell’insegnamento. È ovvio però che ciò che è straordinario presuppone ciò che è ordinario come il suo momento fondante. Questo insegnamento è di tutta la Chiesa, in essa trova il suo soggetto proprio».

«Nel corso della nostra ricerca – si legge ancora nella conclusione del volume – è emerso con sempre maggiore chiarezza che ciò che è originario, spontaneo, reale è la Parola di Dio incarnata. Essa è entrata in questo mondo di peccato senza mutare sé stessa, è diventata quello che non era senza cessare di essere quello che era. Questa scandalosa “mescolanza” è l’elemento che ha sempre messo in crisi la riflessione teologica sul mistero. Anche il problema, e lo scandalo, del “magistero ordinario” rientra in questa crisi e sfida connessa. Il magistero è connesso con la trasmissione della verità, ma la certezza assoluta di una proposizione assolutamente a priori vera l’abbiamo solo in singoli casi eccezionali».

Proprio «la riflessione sulla trasmissione orale che soggiace alla riflessione scritta, stampata, elettronicamente riprodotta, ci ha condotto a queste riflessioni di massima: la realtà personale del parlante precede tutti gli strumenti tecnici, svariati e progressivi che può utilizzare, esattamente come la realtà precede il segno. Nel contesto teologico di una rivelazione concepita come auto-comunicazione questa realtà si trova all’inizio e alla fine del processo. Nella logica dell’incarnazione finisce addirittura per identificarsi con il processo stesso. La comprensione ermeneutica si fonda su un procedimento di simpatetica assimilazione con il parlante. L’obbedienza della fede si trova fatalmente inserita in un contesto di amore. Solo chi ama crede e solo chi veramente crede può amare».