È arrivato a bordo di un pulmino bianco, insieme al Patriarca Bartolomeo e all’arcivescovo Ieronymos: Papa Francesco ha visitato il campo profughi di Mòria a Lesbo, uno dei cinque hotspot europei nelle isole greche dove sono ammassate 2500 persone. Francesco ha stretto la mano a 150 ragazzi sistemati lungo una transenna. Molti di loro hanno perso i genitori e sono soli al mondo. Nei loro volti arsi dal sole si legge il dolore. Sono i protagonisti di quella che il Papa ha definito «la più grande catastrofe umanitaria dopo la Seconda Guerra mondiale». Francesco, accompagnato dai «fratelli» Bartolomeo e Ieronymos, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli e l’arcivescovo ortodosso di Atene, ha accarezzato i volti dei più piccoli ha salutato madri di famiglia. Ha preso in braccio un neonato, dopo che lo stesso aveva fatto Bartolomeo. Qualche volta il Papa si abbassava, quasi scomparendo dalla visuale delle telecamere, per toccare le mani tese da bambini che s’intrufolavano alla base delle transenne.
Il campo profughi è inondato dal sole, fa caldo. Francesco, Bartolomeo e Ieronymos hanno raggiunto una tenda bianca, dove li aspettavano altri 250 profughi. Il Papa li saluta uno a uno, passando lentamente tra di loro. Un giovane pakistano cade in ginocchio e scoppia a piangere, a dirotto, chiedendo di essere benedetto. «Father, bless me», ripete. Bergoglio è scosso, poggia le mani sul suo capo e prega, senza che l’uomo smetta di piangere.
Una bambina si getta a terra e rimane ai piedi di Francesco, che fa di tutto per farla rialzare, prima di ascoltare dalla madre con il capo coperto dal velo la loro storia. Gli parla a lungo e la donna ringrazia in arabo, «shukrān». Un uomo anziano piange raccontando ai tre leader cristiani dei figli che sono morti durante la traversata. Anche uscito dalla tenda, il Papa è avvicinato da una donna che si dispera in ginocchio, tenendogli stretta la mano. Francesco procede in silenzio, visibilmente commosso.
Al momento dei brevi discorsi di saluto, l’arcivescovo di Atene dice al Papa: «Consideriamo cruciale la sua presenza sul territorio della Chiesa di Grecia, cruciale perché portiamo insieme all’attenzione del mondo intero, cristiano e non cristiano, l’attuale tragedia della crisi dei rifugiati».
«Non abbiamo bisogno di dire molte parole – aggiunge Ieronymos – Soltanto quelli che hanno incrociato lo sguardo di quei piccoli bambini che abbiamo incontrato nei campi dei rifugiati, potranno immediatamente riconoscere, nella sua totalità, la “bancarotta” dell’umanità e della solidarietà che l’Europa ha dimostrato in questi ultimi anni a queste persone e non soltanto a loro».
Anche il Patriarca Bartolomeo prende la parola e rivolgendosi ai profughi dice: «Abbiamo viaggiato fin qui per guardar nei vostri occhi, sentire le vostre voci e tenere le vostre mani nelle nostre. Abbiamo viaggiato fin qui per dirvi che ci preoccupiamo di voi. Abbiamo viaggiato fin qui perché il mondo non vi ha dimenticato».
«Abbiamo pianto mentre vedevamo il Mediterraneo diventare una tomba per i vostri cari. Abbiamo pianto vedendo la simpatia e la sensibilità del popolo di Lesbo e delle altre isole. Ma abbiamo pianto anche quando abbiamo visto la durezza dei cuori dei nostri fratelli e sorelle – i vostri fratelli e sorelle – chiudere le frontiere e voltare le spalle». Il mondo, ha concluso «sarà giudicato dal modo in cui vi ha trattato. E saremo tutti responsabili per il modo in cui rispondiamo alla crisi e al conflitto nelle vostre regioni di origine».
Infine c’è il saluto di Francesco. «Oggi ho voluto stare con voi. Voglio dirvi che non siete soli. Sono venuto qui insieme ai miei fratelli Bartolomeo e Ieronymos semplicemente per stare con voi e per ascoltare le vostre storie. Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione. Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità».
«Dio ha creato il genere umano – ha detto ancora Francesco – perché formi una sola famiglia; quando qualche nostro fratello o sorella soffre, tutti noi ne siamo toccati. Tutti sappiamo per esperienza quanto è facile per alcune persone ignorare le sofferenze degli altri e persino sfruttarne la vulnerabilità. Ma sappiamo anche che queste crisi possono far emergere il meglio di noi. Lo avete visto in voi stessi e nel popolo greco, che ha generosamente risposto ai vostri bisogni pur in mezzo alle sue stesse difficoltà».
«Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi – ha concluso il Papa – non perdete la speranza! Il più grande dono che possiamo offrirci a vicenda è l’amore». Francesco, Bartolomeo e Ieronymos hanno firmato una dichiarazione comune, contenente un forte appello alla comunità internazionale. Quindi si sono seduti a tavola in un container con otto profughi del campo.
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